venerdì 28 ottobre 2011
4 novembre, per la pace e il disarmo
per onorare davvero le vittime di tutte le guerre,
per avviare un nuovo paradigma di civiltà e umanità
ferocia e tecnologia
Le oscene immagini dell'epilogo della guerra in Libia - che sono rimbalzate fino alla nausea nel circo mediatico, banalizzandone lo scempio, mentre sono oscurate regolarmente le "ordinarie" immagini di tutte le guerre, che potrebbero far riflettere sull'oscenità della guerra - fanno scrivere ad Adriano Sofri, su "la Repubblica" del 22 ottobre ("Kalashnikov e telefonini lo scempio del branco"), che "l'uomo è antiquato, o è pronto a ridiventarlo" anzi, continua più avanti, "gli umani sono ancora feroci e fanatici come nell'Iliade, come nella Bibbia. Sono antichi quanto e più di allora, ma hanno i telefonini". La guerra e la sua persistente legittimazione politica e culturale tengono l'umanità ancorata al peggio di sè. Abbiamo fatto un salto tecnologico, ma nessun salto di civiltà; al contrario l'applicazione della tecnologia alla guerra ha fatto compiere all'umanità un balzo all'indietro. La guerra risponde alla logica del fine da raggingere che giustifica l'impiego di qualunque mezzo. Da quando il mezzo è stato potenziato enormemente dagli sviluppi tecnologici, è esplosa la capacità distruttiva e ridimensionato lo spazio di umanità.
l'imprinting al Novecento
La svolta tecnologica della guerra è avvenuta in quella che ha aperto il Novecento, dandogli l'imprinting: la "Grande guerra", chiamata così non solo per la sua dimensione intercontinentale ma sopratutto per la capacità distruttiva su larga scala messa in campo dagli eserciti. Quella guerra provocò la repentina riconversione delle moderne invenzioni tecniche in strumenti bellici, finalizzati al terrore di massa. Le nuove fabbriche fordiste, chimiche, meccaniche, areonautiche e navali, furono rapidamente convertite al servizio delle armi chimiche, dei carri armati, degli aerei da combattimento, dei sottomarini da guerra, moltiplicando la produzione in tutti i settori. La società e l'economia vennero coinvolte nello sforzo bellico e la guerra diventò, per la prima volta, di massa e totale. Un salto di qualità distruttiva definitivo, con 16 milioni di morti complessivi in quattro anni, che da allora in poi sarebbe stato sempre più amplificato, in un'escalation senza fine di armamenti, morte e distruzione. Fino ai campi di sterminio, fino ad Hiroshima e Nagasaki, e poi all'equilibrio del terrore, al napalm, all'uranio impoverito, alle armi battereologiche, ai cacciabombardieri nucleari, ai droni telecomandati...In un vortice di violenza, presente sia quando le armi iper-tecnologiche vengono usate ai quattro angoli del pianeta, sia quando si accumulano e praparano le guerre, sottraendo ingenti risorse alle spese sociali e colonizzando la cultura diffusa che non pre/vede e, quindi, rende possibili le alternative.
uomini nel fango
E l'umanità? Mentre si fanno strada le armi di distruzione di massa, nella "Grande guerra" l'umanità è rintanata nelle trincee contrapposte, tra topi, cadaveri, neve e fango, dove sopravvivono e muoiono i giovani e giovanissimi coscritti (dello "stesso medesimo umore, ma la divisa di un altro colore", cantava De Andrè), agli ordini di ufficiali spesso esaltati. "Uomini contro", come li definì il celebre film di Francesco Rosi, che, qualche volta, si riconobbero nella loro rispettiva umanità e decisero di affermarla, disobbedendo agli ordini, rifiutando di sparare. Lo racconta, tra gli altri, Emilio Lussu in "Un anno sull'altipiano" (libro da cui fu tratto il film di Rosi):
"Quelle trincee, che pure noi avevamo attaccato tante volte inutilmente, cosi viva ne era stata la resistenza, avevano poi finito con l'apparirci inanimate, come cose lugubri, inabitate da viventi, rifugio di fantasmi misteriosi e terribili. Ora si mostravano a noi, nella loro vera vita. Il nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci!... Ecco il nemico ed ecco gli austriaci. Uomini e soldati come noi, fatti come noi, in uniforme come noi, che ora si muovevano, parlavano e prendevano il caffe', proprio come stavano facendo, dietro di noi, in quell'ora stessa, i nostri stessi compagni. (...)Avevo di fronte un ufficiale, giovane, inconscio del pericolo che gli sovrastava. Non lo potevo sbagliare. Avrei potuto sparare mille colpi a quella distanza, senza sbagliarne uno. Bastava che premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volonta', mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un uomo!"
militarizzazione di una generazione
Ma queste esitazioni dove emergeva l'umanità vennero severamente punite. Le renitenze e le diserzioni per non andare a morire nelle trincee d'Europa, gli ammutinamenti e le insubordinazioni di massa dei soldati sfiniti, le automutilazioni per trovare un temporaneo riparo nelle retrovie, le tregue spontanee dal basso - come la "piccola pace nella Grande guerra" che fu realizzata naturalmente dai soldati lungo tutto il fronte occidentale, per alcuni giorni, intorno al Natale del 1914, con l'intonazione di canti natalizi di pace nelle diverse lingue e scambi di poveri doni, incontrandosi nella terra di nessuno tra le due trincee (cfr Michael Jurgs "La piccola pace nella Grande guerra. Fronte occidentale senza armi 1914: un Natale senza armi") – furono disubbidienze e obiezioni popolari alla logica della guerra. Per questo, orrore nell'orrore, nella "Grande guerra" si applicò per la prima volta su amplissima scala anche la decimazione, all'interno dei rispettivi fronti, di coloro che esitavano a dimenticare la propria umanità per diventare cieche e sorde macchine di morte. Intanto, la propaganda, condotta per la prima volta in maniera massificata sul "fronte interno" di ciascuno Stato, giustificava tutto ciò per i superiori interessi nazionalistici.
In Europa una generazione subì un processo di militarizzazione forzata e ideologica. La conseguenza principale saranno i fascismi e il nazismo che condurranno il mondo ad una nuova, ed ancora più spaventosa, catastrofe mondiale.
cambiare paradigma culturale
Oggi, nonostante il passaggio di millennio, siamo ancora pienamente dentro quel Novecento, inaugurato e connotato definitivamente dalla Grande guerra; dentro al paradigma del fine che giustifica mezzi, sempre più scientificamente distruttivi. Nonostante la fine di due guerrre mondiali, la conclusione della "Guerra fredda", il crollo dei regimi totalitari, nonostante tutto ciò, le spese militari - per l'acquisto, il mantenimento e l'uso di ipertecnologie di morte – sono avviluppate in una escalation continua, su scala planetaria e nazionale, che non ha eguali in nessuna epoca storica. Il riarmo è in continua ascesa, tanto sul piano specificamente bellico quanto sui piani politico e culturale. Non a caso il nostro Paese è impegnato, consecutivamente da vent'anni, in guerre su molti fronti internazionali, chiamate "missioni di pace" nella "neolingua" orwelliana comunemente usata per aggirare la Costituzione, nella quale i padri costituenti avevano usato coscientemente la forza del verbo "ripudiare" proprio e solo in riferimento all'oscenità della guerra, in quanto "mezzo" per la risoluzione dei conflitti.
Siamo talmente dentro al tragico Novecento che - piuttosto che puntare sul disarmo militare e sulla messa a punto e sperimentazione di "mezzi" alternativi alla guerra per la "risoluzione delle controversie internazionali", proiettandoci così in un'altro paradigma culturale e politico, quello del fine che si realizza già nel mezzo che si usa, come indicato dalla Costituzione - si continua a "festeggiare" il 4 novembre, la fine della "Grande guerra" come "Festa della Forze Armate", ossia si festeggia proprio il "mezzo" che ci lega irrimediabilmente alla guerra.
un 4 novembre per il disarmo
Il ricordo e il lutto per tutte le vittime delle guerre meritano un giorno di memoria e di raccoglimento, non di festa. Un modo affinchè il loro sacrificio sia di vero monito alle nuove generazioni è dedicare quel giorno alla riflessione sulla tragedia di tutte le guerre, all'impegno per il disarmo e alla promozione delle alternative possibili. Fra qualche anno saranno cento gli anni che ci separano dall'avvio della "Grande guerra": se nel frattempo saremo riusciti a trasformare il 4 novembre in una giornata dedicata alla pace ed al disarmo, piuttosto che all'esercito, sarebbe un piccolo, ma importante, segnale che – nonostante tutto - il secolo delle guerre sta finalmente passando. E che stiamo cominciando a costruire, almeno in Italia, un cambio di paradigma culturale per un salto di civiltà e di umanità.
Pasquale Pugliese
segreteria nazionale del
Movimento Nonviolento
lunedì 17 ottobre 2011
Breve lettera ad un amico del blocco nero. Mio avversario
Amico del blocco nero, hai mai sentito parlare di Paulo Freire?
E' un pedagogista brasiliano che ha sempre lottato per la liberazione sociale e politica del suo popolo, che nella "Pedagogia degli oppressi" scrive – cito a memoria – che la più profonda oppressione da cui un oppresso si deve liberare, attraverso il processo di coscientizzazione, è quella di pensare i pensieri del suo oppressore.
Siamo ancora qui.
Quando usi la violenza dentro le manifestazioni puoi anche mettere a ferro e fuoco una città, fare terreno bruciato intorno a te, "conquistare" una piazza per qualche ora, ma hai irrimediabilmente perso. E' il sistema contro il quale immagini di lottare che ha vinto su tutti i "fronti", reali e simbolici, a cominciare da quello più importante di aver potuto trasformare le questioni politiche in questione di ordine pubblico, cioè nel suo ordine.
A quel sistema che considera la guerra come la continuazione della politica con altri mezzi, hai offerto la possibilità di farla anche in casa. A quel governo che taglia tutti i servizi pubblici tranne quelli militari, che anzi aumenta inesorabilmente, hai proposto il conflitto proprio sul piano militare, il suo preferito. A quel circo medatico, servo del potere economico e politico, hai consentito di annullare tutte le ragioni politiche della lotta e di rappresentare sia te, che altre centinaia di migliaia di persone in piazza insieme a te, come criminali fuori dal tempo e dalla realtà.
Al contrario, a molta gente comune - le persone in carne ed ossa che vivono sulla propria pelle la precarietà quotidiana - che aveva simpatia per questo nuovo movimento di lotta che parte propio dai suoi bisogni, che è andata a votare in massa nei referendum antinucleare e per i beni comuni, hai fatto paura e hai fornito l'alibi per rinchiudersi nuovamente in casa e non scendere, forse, più in piazza. E magari rinforzare il potere di chi oggi, grazie a te, fa la voce grossa e le leggi speciali contro i movimenti.
Oggi più che mai la violenza, anche quando sembra rivoluzionaria, è semplicemente reazionaria. Perchè fa il gioco della reazione e, usandone i suoi mezzi, le fornisce alimento, espansione e giustificazione. Immagino che tu pensi di cambiare il potere ed invece il potere ha cambiato te, facendoti diventare – nel profondo – come lui. Facendoti accettare e legittimare la tua violenza, comunque da apprendista, hai finito per legittimare ancora di più la sua, di professionista e monopolista.
Cui prodest? A chi giova?
Non a te, non a noi, non a chi lotta per il cambiamento, non ai disperati della terra e ai precari e agli indignati d'Italia. Ma stabilizza e rinforza straordinariamente il dominio di chi tiene oppressi tutti noi e indebolisce drammaticamente chi gli si oppone.
Per questo, amico, sei mio avversario!
E non parteciperò ad alcuna manifestazione in cui sarà annunciata la tua presenza. Nè ti vorrò nelle mie. Almeno finchè non cambierai radicalmente i tuoi mezzi di lotta, da violenti in nonviolenti, provando a trasformarti, finalmente - attraverso il tuo personale processo di coscientizzazione - da reazionario in rivoluzionario.
sabato 1 ottobre 2011
Dalla Marcia della pace al 2 ottobre, Giornata internazionale della nonviolenza
L'impegno per il disarmo continua
la Marcia del sale e la Marcia della pace
Il 2 ottobre, Giornata internazionale della nonviolenza, si ricorda il compleanno di Mohandas K. Gandhi, il fondatore della nonviolenza moderna, ossia della nonviolenza come metodo rivoluzionario di azione politica. Uno degli strumenti nonviolenti più importanti sperimentati da Gandhi furono le marce, svolte sia in Sudafrica che in India, fino alla più importante e decisiva "Marcia del sale", che segnò il punto di svolta nella lotta per l'auto-governo del popolo indiano.
Le marce furono poi riprese in Occidente, negli USA dal movimento per i diritti civili guidato da Martin Luther King, in Inghilterra dal movimento antinucleare guidato da Bertand Russel, in Italia dal movimento per la pace guidato da Aldo Capitini. Sulle orme di Capitini, lo scorso 25 settembre abbiamo marciato ancora da Perugia ad Assisi, cinquanta anni dopo quella prima volta che fu definita dal lungimirante Pier Paolo Pasolini "il fenomeno politico più importante dell'anno, una specie di riproposta modernissima del CLN".
Capitini, a commento della Marcia del 1961, scrisse "una marcia non è fine a se stessa, continua negli animi, produce onde che vanno lontano, fa sorgere problemi, orientamenti, attività". Cinquanta anni dopo, Mao Valpiana presidente del Movimento Movimento, a conclusione della "Marcia della pace e la fratellanza dei popoli" dalla Rocca di Assisi, evocando le parole di Capitini, ha ricordato: "la vera marcia, lo sappiamo, comincerà questa sera, quando ognuno di noi tornerà nella propria casa con l'impegno di realizzare il programma politico nonviolento: pace e fratellanza. Per cominciare dobbiamo partire da noi stessi, ognuno deve fare il proprio disarmo. Un disarmo unilaterale, un disarmo culturale. Fare cadere i muri dentro le nostre teste. Spezzare il proprio fucile. Non aspettiamo che siano gli altri a disarmare, incominciamo noi!"
ancora in marcia per il disarmo
In oltre duecentomila abbiamo marciato da Perugia ad Assisi, provenienti da tanti luoghi geografici, culturali e politici in rappresentanza di quell'Italia pulita e onesta, che c'è a dispetto della sua triste rappresentazione governativa. E' la stessa Italia che si è manifestata in tutta la sua forza nei referendum per i beni comuni della scorsa primavera. Questa Italia ha coperto a piedi i 25 chilometri di distanza tra i Giardini del Frontone di Perugia e la Rocca di Assisi manifestando una consapevolezza nuova: la difesa dei beni comuni e la difesa della pace sono una cosa sola! Non solo perchè la pace è il fondamentale bene comune, ma anche perchè si colpiscono con la finanziaria i principali presìdi dei legami comunitari e si salvaguardano solo i presìdi della guerra: gli armamenti e la loro intoccabile casta di sacerdoti.
Di fronte ad una crisi economica e finanziaria che sta dando al governo il pretesto per generare un massacro sociale senza precedenti, travolgendo i diritti costituzionali al lavoro, alla protezione sociale, alla salute, all'istruzione e alla cultura, principali beni comuni, il popolo in marcia per la pace ha affermato coralmente che la crisi si risolve attraverso il disarmo, il taglio drastico delle spese militari, il ripudio della guerra e della sua preparazione, cioè ribadendo i principi fondamentali della Costituzione. Dare un taglio netto alle spese militari per non tagliare i diritti sociali. Ripudiare la guerra per non ripudiare la Costituzione.
Ma i principi non basta affermarli, vanno declinati in una consapevole ed efficace azione culturale e politica. La forza delle marce gandhiane è stata la capacità di trasformare i partecipanti in attivisti della nonviolenza che puntavano a realizzare gli obiettivi specifici per i quali avevano marciato insieme. Anche questo ci ricorda il 2 ottobre: non si può essere marciatori per un giorno, ma bisogna portare nelle nostre associazioni, nei nostri partiti, nelle nostre parrocchie, nei nostri enti locali, nelle nostre università, nelle nostre scuole l'energia raccolta alla Marcia e trasformarla in azione politica e collettiva per il disarmo. Una rivoluzione costituzionale e nonviolenta che apre e principia tutte le altre. Se non ora quando?
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