Una settimana fa, il 26 febbraio, dopo
una lunga malattia è morto a 86 anni Giulio Girardi.
Teologo e filosofo della liberazione,
figura ponte tra la cultura cristana e quella marxista, tra la
sinistra italiana e i movimenti di liberazione dll'america latina, Giulio Girardi negli ultimi anni aveva avviato, tra le altre cose, un'importante
riflessione critica sulla nonviolenza, condensata anche nel libretto
uscito nel 1999, seppur poco noto, Riscoprire Gandhi. La violenza
è l'ultima parola della storia? (a
cura del CIPAX, nella collana "Strumenti di pace").
Mi piace
ricordarlo proponendo l'ultima densa pagina di quel suo lucido
lavoro.
Al centro della nostra
riflessione si poneva la domanda: è attuale Gandhi? Abbiamo subito
precisato che l'attualità non riguardava solo un'alternativa
strategica non violenta, ma un'alternativa globale di vita, di
religione, di civiltà, di cultura. Per cui l'interrogativo si
traduceva così: è attuale nei vari settori della società odierna
(politica, economia, ecologia, religione, cultura, educazione) la
ricerca di un'alternativa alla violenza, oppure è gicoforza
riconoscere che la violenza, e quindi la morte, è l'ultima parola
della storia? E' attuale nell'epoca della globalizzazione neoliberale
un progetto di alternativa economica imperniato su comunità e
progetti locali?
La nostra riflessione è
consistita, in definitiva, nell'approfondire il senso della domanda,
cioè del progetto alternativo di civiltà che essa ipotizza, nei
suoi molteplici aspetti. Tale esplorazione ha reso più evidente la
totale inattualità di Gandhi dal punto di viosta della cultura oggi
dominante: quella del neoliberalismo. Essa infatti non solo
rappresenta una risposta radicalmente negativa agli interrogativi da
lui sollevati, ma crea delle condizioni e dei condizionamenti tali,
per cui le stesse domande sono soffocate, non possono più venire
formulate, non hanno più senso. Soffocare le domande significa
bloccare in partenza ogni ricerca intesa a rispondervi. Significa
seppellire definitivamente la speranza.
Riconoscere l'attualità di
Gandhi significa invece rilanciare la sfida al fatalismo, scommettere
sulla possibilità e sull'urgenza di una vittoria della forza del
diritto, della verità, del'amore. Si tratta di una prospettiva
puramente ideale? Si e no. Si, perché questo progetto non
corrisponde a nessuna realtà esistente. No, perché esso, se
adottato, influisce realmente sul presente come un'ipotesi storica
feconda, che stimola la creatività intellettuale e l'audacia
operativa a rompere le barriere del sistema di morte.
Ecco perché la risposta alla
domanda sull'attualità di Gandhi è così impegnativa. Perché è
inseparabile dalle scelte di fondo, etiche, politiche, economiche e
religiose di ciascuno e ciascuna. Il significato più profondo e più
inquietante dell'incontro con Gandhi è proprio questo: ci obbliga a
verificare le nostre scelte e a domandarci se esistano ancora per noi
delle ragioni di vivere, di lottare e sperare.