E' un anno di anniversari tondi questo 2011. Approfittiamone, di volta in volta, per fare quelche riflessione utile per l'oggi.
Cinquanta anni fa, l'11 aprile del 1961, si apriva a Gerusalemme il processo ad Adolf Eichmann, il gerarca nazista che aveva pianificato prima l'allontanamento forzato degli ebrei dalla Germania e dopo la loro deportazione nei campi di sterminio.
"Uno specialista nel settore dell'emigrazione", così si autodefinisce Eichmann di fronte ai giudici e l'unica colpa che ammette è quella di aver fedelmente svolto il proprio dovere, senza essere mai stato richiamato dai suoi superiori.
La filosofa Hannah Arendt, che segue di persona l'intero processo, ne scrive uno dei libri più importanti del '900 La banalità del male (1963), nel quale mette a fuoco la normalità rivendicata, e vera, di quest'uomo. Il suo non essere un mostro: "i giudici sapevano che sarebbe stato quanto mai confortante poter credere che Eichmann era un mostro, ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, perchè implica che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male".
Se dunque non è un mostro colui che è capace di tale violenza, non è un essere alieno dal genere umano, ma è un uomo come tanti, ciò significa che quella violenza riguarda tutti, perchè ciascuno in simili circostanze potrebbe essere al suo posto. E, come lui, obbedire.
Zygmunt Baumann, molti anni più tardi nel suo Paura liquida (2006), approfondisce e generalizza le riflessioni della Arendt. "La lezione più spaventosa di Auschwitz, dei gulag, di Hiroshima è che, contrariamente all'opinione comune, non sono soltanto i mostri a commettere crimini mostruosi. La lezione più devastante di Auschwitz, dei gulag e di Hiroshima non è che potremmo anche noi essere rinchiusi dietro il filo spinato o nelle camere a gas, ma che, date le giuste condizioni, potremmo stare di guardia o spruzzare nelle condutture cristalli di sale bianchi; la lezione non è che una bomba atomica potrebbe abbattersi proprio su di noi, ma che, date le giuste condizioni, potremmo essere noi a lanciarla sulla testa di altri".
Questa, ci dicono Arendt e Baumann, è la lezione del processo ad Eichmann, la lezione di Auschwitz, dei gulag, di Hiroshima, ma questa lezione non l'abbiamo ancora imparata.
Quanti sono oggi i normali specialisti nel settore dell'emigrazione, i normali guardiani di campi di concentramento, i normali sganciatori di bombe, i normali spettatori passivi di tutto questo? Che tornando a casa, a sera, come Eichmann, sono convinti di avere svolto il proprio dovere?
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