sabato 26 giugno 2010

Si raccolgono i frutti velenosi della "pedagogia" della barbarie

di Pasquale Pugliese

(articolo pubblicato su "Azione nonviolenta", giugno 2010)

Che sia in atto da tempo nel nostro paese una “pedagogia” razzista di massa, di cui la Lega è la punta più “avanzata”, è un fatto rilevato dagli studiosi più attenti alle dinamiche sociali e culturali (vedi, tra gli altri, Annamaria Rivera Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo. Edizioni Dedalo 2009). Così come la ricaduta di questo processo sul piano elettorale è sotto gli occhi di tutti. A tal proposito scrive ancora la Rivera a commento del risultato delle ultime elezioni regionali: “Le ragioni della disfatta del centrosinistra, e ancor di più della sinistra che si vuole alternativa, stanno anzitutto nell'incapacità di comprendere e analizzare questa mutazione. Non aver capito o voluto capire a suo tempo che la Lega Nord andava esercitando una pedagogia di massa”. (da La mutazione italiana su il manifesto, 31 marzo 2010).
Oggi questa “pedagogia” razzista ha le sue applicazioni anche nell’organizzazione scolastica, secondo una linea espressa con la consueta rozzezza ed efficacia dal fondamentalista padano Mauro Borghezio: “i padri devono capire che se vengono a procreare qui da noi gli effetti ricadono sui figli” (da La guerra ai bambini di Luca Telese su Il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2010). E’ il capovolgimento dei principi affermati nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, ratificata dall’Italia nel 1991: “Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari” (www.unicef.it.). Tale capovolgimento è il principio (sia nel senso di inizio che di fondamento) della barbarie, da cui discendono le applicazioni scolastiche.
Alcune applicazioni sono di carattere nazionale, per esempio il tetto del 30% dei bambini “stranieri” nelle classi, fissato dalla ministra Gelmini: questa norma è del tutto ideologica, perché indica la “stranierità” a partire dall’assenza della cittadinanza italiana, che si può conseguire solo dal diciottesimo anno di età, anche se si è nati in Italia e si parla perfettamente l’italiano…con l’accento locale. Infatti sono scattate subito alcune deroghe. Ma laddove si applicherà avrà un effetto punitivo nei confronti dei più deboli, perché costringerà i bambini ultimi arrivati, che avrebbero bisogno di un nuovo radicamento territoriale, a mendicare una scuola dove essere accolti, lontano da casa, in un altro quartiere, accompagnati da mamme spesso prive di mezzi di trasporto.
Altre applicazioni della barbarie sono di carattere locale e riguardano quei comuni (Milano, Bologna, Parma…) che hanno deciso di escludere i bambini più piccoli dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia, perché figli di genitori “clandestini”. Discriminandoli nel loro diritto di iniziare quel processo di socializzazione con tutti i bambini, fin dalla prima infanzia, necessario non solo a loro, ma al futuro stesso della nuova società italiana.
Ancora, con crudeltà è l’applicazione della barbarie quando discrimina i bambini tra coloro che possono o non possono mangiare all’interno della stessa scuola, a secondo che i loro genitori abbiano pagato o meno la retta. Come abbiamo appreso dall’eco mediatica suscitata da queste notizie riferite ad alcuni Comuni governati dalla Lega Nord, i bambini figli di genitori economicamente in difficoltà (prevalentemente figli di migranti) sono stati discriminati all’ora del pranzo, costretti a mangiare un panino (a Montecchio Maggiore, Vicenza) o ad allontanarsi dalla scuola (ad Adro, Brescia). I Sindaci piuttosto che provare a recuperare la somma dovuta agendo sui genitori, come si fa normalmente per una multa non pagata, hanno infierito direttamente sui bambini, sottratti al rito conviviale del pasto in comune con i loro compagni di classe.
Come ha avvertito qualche anno fa nel suo bel libro Giuliano Pontara (L’antibarbarie, EGA, 2006) siamo prepotentemente ripiombati sotto molti aspetti nell’epoca della barbarie e la nonviolenza ai diversi livelli – pedagogico, politico, culturale – deve sempre di più configurarsi come l’argine dell’anti-barbarie. Partendo anche dalle intuizioni educative di Aldo Capitini: “il bambino sta davanti a noi, non dietro di noi, anzi ci indica una realtà liberata dai limiti attuali”. (Oggi in L’educazione è aperta. Antologia degli scritti pedagogici a cura di Gabriella Falcicchio). Ossia, i bambini ci presentano un’esigenza avanzata di liberazione alla quale dobbiamo corrispondere operando oggi per la comunità aperta del futuro. Contro ogni barbarica chiusura.