lunedì 26 settembre 2011

Infinita e creativa nel suo sviluppo: la proposta nonviolenta di Capitini


(pubblicato sul numero agosto settembre 2011 di Azione nonviolenta)


Di cosa parliamo quando diciamo nonviolenza?
Piuttosto che darne una definizione teorica, ci può aiutare nella risposta lo stesso Aldo Capitini che, nel suo libro Le tecniche della nonviolenza1, dice “la nonviolenza è affidata ad un metodo che è aperto ed è sperimentale”.1. Un breve approfondimento intorno alle caratteristiche di questo “affidamento” ci introduce alla nonviolenza e alla stessa figura del fondatore del Movimento Nonviolento.

Un metodo aperto e sperimentale
La nonviolenza è affidata ad un metodo di azione che si sviluppa su vari livelli – da quello educativo a quello sociale, da quello personale a quello politico – non come semplice insieme di tecniche, ma come reciproca aggiunta tra prassi e teoria, tra azione e pensiero. Al contrario delle costruzioni ideologiche, la nonviolenza non è prima teorizzata e poi praticata, ma è prima vissuta come strumento di azione e di cambiamento di singoli e popoli; poi studiata, approfondita e di nuovo sperimentata nell'azione, dove torna rinforzata da quegli studi e approfondimenti teorici…L'insieme di questa elaborazione collettiva ne costituisce il metodo.
Che è quindi metodo aperto perché nessuno è custode di una dottrina, di un corpus di norme definitivo, di un “ismo”, ma ciascuno può apportare nuove aggiunte sia sul piano del pensiero che dell’azione, com'è avvenuto sia durante il '900 che nell'avvio di questo nuovo secolo, attraverso la pratica della nonviolenza sviluppata all'interno di ambiti culturali e religiosi differenti. Un metodo che può essere usato da tutti perché non si fonda sulla forza fisica o sugli armamenti, ma sulla forza d'animo.2.
Ed è un metodo sperimentale, una approssimazione continua per prove ed errori, per le ragioni che lasciamo dire allo stesso Capitini: “Non c'è bisogno di dire che la nonviolenza è positiva e non negativa (non-violenza = amore, cioè apertura affettuosa alla esistenza, libertà, sviluppo di ogni essere), è attiva, lottatrice e richiede coraggio, è creativa e trova sempre nuovi modi di attuarsi, è inesauribile e non può essere attuata perfettamente, ma in continuo avvicinamento; e perciò ci diciamo “amici della nonviolenza” più che senz'altro nonviolenti”.3 Ossia, appunto, sperimentatori di nonviolenza.

L'aggiunta di Aldo, tra azione e pensiero
Aldo Capitini è colui che, tra gli sperimentatori, ha dato alla nonviolenza italiana il maggior contributo di chiarificazione filosofica e di sviluppo organizzativo - creandone in qualche modo anche il lessico - all’interno di una produzione vastissima che intreccia elementi filosofici, politici, religiosi e pedagogici. Nella quale proviamo qui a mettere a fuoco, brevemente, solo alcune tracce tematiche, legate a tappe significative della sua vita, che sono di orientamento nel nostro agire. Oggi più che mai.
Perché, inoltre, è opportuno legare i nuclei tematici capitiniani ad alcuni momenti della vita concreta di Capitini lo spiega il filosofo Piergiorgio Giacchè che, nel presentare la figura dell'ideatore della Marcia della Pace, premette queste parole:
“Azione e pensiero. Quando si racconta la vita di qualcuno è più corretto invertire la sequenza mazziniana. E non perché le azioni avvengano prima, avventate e irriflesse, ma perché avvengono per davvero, e perché – almeno nella vita ordinaria di poche persone straordinarie – sono esse stesse il pensiero che si concepisce come un atto. Poche sono le persone che hanno una vita così coerente da far seguire le parole ai fatti, o meglio da combinare le une e gli altri nei propri atti. Nel loro caso la vita equivale davvero alle opere, che non si distinguono dal loro primo significato di un effettivo e continuo operare.”4
Questo è appunto il caso di Aldo Capitini.

La persuasione, ossia il primato della coscienza
Capitini nasce nel 1899 a Perugia (la generazione di Gobetti e dei Rosselli, scriverà), figlio del campanaro del Municipio, e cresce in un’abitazione ricavata all’interno della torre campanaria del capoluogo umbro.5. Dovendo presto trovare un’occupazione studia per diventare ragioniere, ma ciò non lo soddisfa e due anni di studio “matto e disperatissimo” gli consentiranno di vincere una borsa di studio all’Università Normale di Pisa. Qui si distingue per l’intelligenza vivace al punto che, una volta laureato e preso il diploma di perfezionamento, il direttore Giovanni Gentile – ministro dell'istruzione di Mussolini - gli offre il posto di segretario. Cosa che a trent’anni risolve i suoi problemi economici e gli consente di diventare assistente volontario del critico letterario Attilio Momigliano.
Nel ‘32 a causa del suo sodalizio con Claudio Baglietto – giovane normalista che, ottenuta una borsa di studio per studiare a Friburgo con Heidegger, si dichiara obiettore di coscienza e non rientra più in Italia – Gentile gli chiede di fare un atto di adesione formale al regime prendendo la tessera del partito fascista.
Capitini, che proprio alla Normale aveva approfondito quella personale riflessione che lo porta ad una sempre più chiara e nitida persuasione antifascista, fa la sua obiezione di coscienza: rifiuta la tessera e nel gennaio del ‘33 viene licenziato.6 Per cui è costretto a tornare dai genitori nella torre campanaria di Perugia. La quale diverrà in breve tempo il punto d’incontro di una nuova generazione di antifascisti, molti dei quali prenderanno poi parte alla resistenza nelle brigate partigiane. Capitini mantiene una posizione antifascista non armata che lo porterà prima a doversi nascondere nella campagna umbra e poi, per due volte, nelle carceri fasciste (nel ’42 per quattro mesi, a Firenze; nel '43 dal maggio al 25 luglio, a Perugia).
Questa persuasione intima, che lo orienterà per tutta la vita, gli consente di riconoscere anche negli altri le azioni fondate sul primato della coscienza.
Finita la guerra, nel 1948 diventa il punto di riferimento del giovane ferrarese Pietro Pinna che, avendo deciso di dichiararsi obiettore di coscienza all'obbligo militare, gli scrive per avere conforto e sostegno nella scelta. Pinna avvia in questo modo il suo personale calvario nelle carceri militari della Patria, sottoposto anche a perizia psichiatrica. Capitini finché la scelta non è compiuta non risponde al giovane Pinna, poi gli sarà a fianco nelle fasi processuali e ne renderà pubblica l'azione solitaria. Il caso di Pinna servirà ad avviare quel dibattito pubblico che, con fasi alte e drammatiche (che vedranno tra gli altri coinvolto anche Lorenzo Milani), sfocerà nella prima legge che riconosce il servizio civile, nel 1972. Pietro Pinna, intanto, sarà co-fondatore del Movimento Nonviolento e della rivista Azione nonviolenta.
Qualche anno più tardi, nel 1952, quando Danilo Dolci, da poco arrivato a Partinico, nella Sicilia occidentale, si stende nel letto dove un bambino è morto di fame e comincia un digiuno ad oltranza contro la povertà, l’unico biglietto che gli arriva proviene da Perugia, ed è firmato Aldo Capitini. Da allora Capitini sostiene e rilancia sul piano nazionale l’opera pedagogica anti-mafia di Dolci, mentre i governi locali e centrali, insieme alla Chiesa, sostenevano che la mafia non esiste e processavano lo stesso Dolci per lo “sciopero alla rovescia”.
Il filo rosso che unisce queste e altre azioni di Aldo Capitini è evidente: assumere una posizione di coscienza - una persuasione - fondata sui valori e mantenerla. Anche da solo contro tutti, affrontandone responsabilmente le conseguenze. Non perché utopista, ma per mettere il proprio peso, piccolo o grande che sia, sul patto giusto della bilancia della storia.

La politica, ossia il primato dei mezzi
Nel paese di Niccolò Macchiavelli, all’interno del quale il fine giustifica sempre i mezzi, Capitini, per primo in Italia, già durante il fascismo coglie la novità rivoluzionaria dell’insegnamento di Gandhi: “il fine sta all’albero come il mezzo sta al seme, tra i due c’è lo stesso inviolabile legame”. I risultati delle nostre azioni non sono nella nostra disponibilità, solo i mezzi che usiamo dipendono direttamente da noi e di questi siamo responsabili.
A partire da questa persuasione, dopo essere stato nel 1937 uno dei fondatori del movimento clandestino del liberalsocialialismo - con il quale lavora alla costruzione di un nuova Italia fondata su “due rivoluzioni invece di una, massimo socialismo e massimo liberalismo” - non ne condivide il suo scioglimento all’interno del nascente Partito d’Azione e non aderisce, rimanendo così isolato ed escluso da Comitato di Liberazione Nazionale e dall'Assemblea Costituente. Ciò non le rende inattivo: mentre con il suo rifiuto svolge una critica severa alla forma-partito, fondata sulla dicotomia mezzo-fine, contemporaneamente apre una prospettiva diversa di azione politica nella quale il fine si realizzi già nel mezzo. Così scrive nel 1949:
“Il partito è il mezzo e il potere è il fine. Ma qui sorgono gravi difficoltà. Può il mezzo essere diverso dal fine? E se il fine è il potere ma esercitato per il bene di tutti, risponde la preparazione che si riceve nel partito, chiusa ed esclusiva, a questo termine, aperto e universale? (…) Noi dobbiamo vedere la cosa da un punto più severo: bisogna fare un lavoro fuori del potere, un decentramento del potere, abituare a vedere il potere diffuso in tante cose fuori dal governo, in tante iniziative, atti, posizioni sentimenti, fondare una prospettiva diversa”.7
A partire da questo personale programma fondativo, Capitini, dopo la guerra, si concentra instancabilmente sulla costruzione di “mezzi” fondati su “una prospettiva diversa” di partecipazione: realizza, subito dopo la liberazione dalla dittatura, i COS, Centri di Orientamento Sociale, il cui motto è il contrario del fascista “obbedire e combattere”, ossia “ascoltare e parlare”; apre i Centri di Orientamento Religioso, comprendendo l’urgenza di una profonda riforma religiosa in Italia; s’impegna nella creazione dell’Associazione per la Difesa e lo Sviluppo della Scuola Pubblica, quando nel Paese non esisteva ancora la scuola media unificata; nel 1952 fonda la Società Vegetariana Italiana, con sede a Perugia che – dopo la sua morte – diventerà l’attuale Associazione vegetariana. Scuote i contrapposti allineamenti politici italiani della guerra fredda ideando e organizzando, con pochi amici, la Marcia Perugia-Assisi del ’61. Fonda, sempre a Perugia, il primo Centro italiano per la nonviolenza, il quale - dopo la Marcia - diventerà il Movimento Nonviolento e nel 1964 la rivista Azione nonviolenta. Nel 1964 avvia anche la pubblicazione del periodico “Il potere è di tutti” che uscirà per 44 numeri fino al 1968, anticipandone il tema centrale: “impostare un'adeguata articolazione della prima fase, quella del potere senza governo, premessa e garanzia che l'eventuale seconda fase sia un potere nuovo “conseguente” alla prima fase...di lavoro educativo, di impostazione di continue solidarietà con altri nella rivoluzione permanente per la democrazia diretta, connessa intimamente con la nonviolenza”.8.

la nonviolenza, ossia il primato dell’azione educativa
Fondata sul primato della coscienza e sul primato dei mezzi, Aldo Capitini ha sperimentato e teorizzato l'azione politica come azione nonviolenta e l’azione nonviolenta come azione educativa, in tutte le fasi della sua vita. Vediamo alcuni passaggi.
Dopo il lavoro di “coscientizzazione” antifascista tra i giovani svolto nel decennio ’33-’43, quando le forze politiche democratiche erano ormai disperse, anche dopo la liberazione dell'Italia centrale, nel '44, Capitini si rende conto che, alla fuoriuscita del Paese dalla dittatura è necessario un diffuso lavoro di formazione alla democrazia. Avvia così i Centri di Orientamento Sociale, come “mezzi” di partecipazione e controllo dal basso e contemporaneamente di educazione degli adulti. Nel COS tutti possono prendere la parola con pari dignità: operai e intellettuali, contadini e amministratori. L’idea è quella di aprire i COS nei quartieri, nelle parrocchie, nelle carceri, nelle scuole, negli istituti psichiatrici. Il primo sorge a Perugia e man mano si diffondono fino a contarne circa quaranta, tra città (Bologna, Firenze, Ferrara) e paesi. Ricorda Capitini:
“al Cos si imparava ad esprimere il proprio pensiero in maniera evidente e semplice, ma s'imparava anche a lasciar parlare gli altri; e in questo modo si svolgeva un collaborante pensiero collettivo...sono stati trattati argomenti delicatissimi, e in riunioni affollatissime e dopo ventidue anni di fascismo. Ma il popolo sapeva che il Cos era diverso, e ne aveva rispetto. Il Cos era uno spazio nonviolento e ragionante”.9.
In ascolto di tutte le posizioni di coscienza e in ricerca di tutte le esperienze di liberazione e
apertura, sui piani religioso, politico ed educativo, Capitini non poteva non incontrare Lorenzo Milani, con il quale dopo lo scambio di diverse lettere ed un paio di incontri a Barbiana con i ragazzi del priore, nasce l’idea di realizzare un “Giornale-Scuola” che esce tra il ’60 e il ’61 per quattro numeri, nei quali si fa educazione popolare. Si affrontano temi rilevanti (i processi di liberazione dei popoli coloniali, l’Algeria, la scuola ecc.) con “link” ai riferimenti geografici, storici, linguistici ecc. Il quarto numero è dedicato alla difesa della Scuola pubblica statale e provoca l’irritazione di don Milani, perciò - complice la mancanza di finanziamenti – l’esperienza si conclude.
Nella situazione internazionale del dopoguerra che vede la “guerra fredda” e la proliferazione nucleare in Europa e la guerra “calda” e per procura nelle periferie dell’Occidente, Capitini si rende conto che l’impegno politico centrale in questo “varco della storia” è la promozione della pace e del disarmo. Ancora una volta a partire da un compito educativo/formativo, che sviluppa attraverso alcune tappe fondamentali:
I. la costituzione del Centro per la Nonviolenza di Perugia, dopo il Convegno internazionale svolto il 30 gennaio 1952 a cui partecipano alcune tra le più importanti personalità pacifiste e nonviolente del tempo;
II. la realizzazione della Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli, da Perugia ad Assisi, del 24 settembre del 1961, con la quale convoca in “assemblea itinerante”, per la prima volta, “il popolo della pace”, quale soggetto storico autonomo dai partiti;
III. immediatamente derivata dalla Marcia è la fondazione del Movimento Nonviolento, che comincia allora il proprio impegno organizzativo per diffondere la nonviolenza sui territori e si preoccuperà di promuovere, tra le altre cose, le Marce successive alla morte di Capitini (www.nonviolenti.org);
IV. Poi, nel 1964, Aldo Capitini fonda la rivista “Azione nonviolenta”, per porre “un centro in questo lavoro” che, come scrive sul primo numero, “sarà informativo, teorico, pratico-formativo...perché la nonviolenza è infinita e creativa nel suo sviluppo” .
Queste iniziative coerenti e concatenate hanno per Capitini una dimensione insieme politica ed educativa, perché centrate sull'apertura alla consapevolezza che è fondamento dell'azione la quale, in quanto nonviolenta, tende a sviluppare nuove persuasioni. Rispetto alla Marcia si domanda:
“come avrei potuto diffondere la notizia che la pace è in pericolo, come avrei potuto destare la consapevolezza della gente più periferica, se non ricorrendo all'aiuto di altri e impostando una manifestazione elementare come è una marcia?...Sapevo bene che gli aiutanti e i partecipanti non sarebbero stati in gran parte persuasi di idee nonviolente; lo sapevo benissimo ma...si presentava l'occasione di mostrare che la nonviolenza è attiva e in avanti, è critica dei mali esistenti, tende a suscitare larghe solidarietà e decise noncollaborazioni, è chiara e razionale nel disegnare le linee di ciò che si deve fare nell'attuale difficile momento.10”
Nell'attuale difficile momento, nel 1961 come nel 2011.

1. Libreria Feltrinelli, Milano, p. 12
2. “Un altro merito del metodo nonviolento è che può essere usato dai deboli, dagli inermi, dalle donne, dai giovanissimi: basta che abbiano un animo coraggioso”, Aldo Capitini, Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze, p. 408
3. Ibidem p. 407
4. Introduzione a Aldo Capitini, “opposizione e liberazione”, l'ancora del mediterraneo, Napoli, p. 9
5. Guido Calogero scriverà: “Abitava in uno dei palazzi più belli del mondo, perché stava nella soffitta del palazzo comunale di Perugia e dalla finestra del suo studio lo sguardo spaziava sull'Umbria. Ma questo suo studiolo era largo un metro e mezzo per due; e quando lo arrestarono e lo rinchiusero in una cella delle Murate di Firenze, credo che abbia avuto la sensazione di trovarsi una stanza troppo grande" (citato da Capitini in “Antifascismo tra i giovani”, Célébes, Trapani, p. 63)
6. Capitini riporta il breve dialogo che si svolse tra i due: “mi fece chiamare per salutarmi, e mi disse:<>. Non risposi altro che: <>” (in “Antifascismo tra i giovani”, Célébes, Trapani, p. 34
7. Oggi si trova in Aldo Capitini, “Liberalsocialismo”, Edizioni e/o, Roma
8. Aldo Capitini, “Il potere di tutti”, La Nuova Italia, Firenze, p. 87/bis
9. Oggi si trova in “opposizione e liberazione”, cit. p. 104
10.Aldo Capitini, “In camino per la pace”, Einaudi, Torino, pp. 13-14

domenica 11 settembre 2011

Lettera aperta a Marino Sinibaldi, Direttore di Radio3Rai



Gentile Direttore Marino Sinibaldi,

sono un appassionato ascoltatore di Radio3Rai. Anzi, le confesso che la programmazione culturale di questa ottima radio pubblica, insieme alle possibilità di informarsi fornite da internet e dai social network, mi ha aiutato a liberarmi definitivamemnte da quella "ladra di tempo e cattiva maestra" televisione (e, successivamente, di firmare la "dichiarazione di dipendenza" da Radio3 promossa da Alessandro Bergonzoni...).
Sia il mio apparecchio radio di casa che quello in automobile sono costantemente sintonizzati sulle frequenze mhz 98.50 e, compatibilmente con il lavoro e gli altri impegni, seguo le trasmissioni e le dirette della "nostra" Radio. Ne ho apprezzato altresì lo sforzo della Sua direzione per portare il più possibile Radio3 tra la gente con le dirette dai luoghi in cui accadono le cose importanti, oltre i Festival Letteratura di Mantova e Filosofia di Modena-Carpi-Sassuolo, (ero presente alle dirette dal cortile di Palazzo Re Enzo a Bologna il 2 agosto dell'anno scorso e dal Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia il 7 gennaio di quest'anno), e di dedicare l'intera programmazione di alcune giornate ad avvenimenti speciali, come oggi al Decennale dell'11 settembre 2001 e domani all'avvio del nuovo anno scolastico.
Per tutte queste ragioni mi aspettavo una preparazione della "nostra" Radio a seguire, a suo modo, un avvenimento che è, insieme, celebrazione di un importante cinquantenario del nostro Paese ed evento culturale e politico in sè: la Marcia per la pace e la riconciliazione dei popoli che si svolgerà il 25 settembre, da Perugia ad Assisi, nel 50° anniversario di quella voluta, promossa e organizzata da Aldo Capitini nel 1961.
Quella prima Marcia segnò l'ingresso nella storia repubblicana di un nuovo soggetto storico, autonomo dai partiti, il "popolo della pace", per il quale Aldo Capitini (affiancato da Arturo Carlo Jemolo, Guido Piovene, Renato Guttuso ed Ernesto Rossi) lesse dalla Rocca di Assisi la famosa "Mozione del popolo della pace". Quel popolo che, pur con alterne fortune, non sarebbe più uscito dalla scena e, di nuovo, si manifesterà il 25 settembre sulla strada che conduce dai Giardini del Frontone di Perugia alla Rocca di Assisi.
Alla marcia del 1961, che fu marcia di popolo, partecipò il fior fiore dell'intellighenzia italiana. Oltre ai già citati intellettuali, ricordiamo Giovanni Arpino, Walter Binni, Goffredo Fofi, Edmondo Marcucci, Beniamino Segre, Norberto Bobbio, Itallo Calvino, Franco Fortini, Gianni Rodari, Fausto Amodei...Pier Paolo Pasolini, che pure non partecipò, scrisse su "Vie Nuove" del 4 gennaio 1962: "quella Marcia della Pace è stata il fenomeno politico italiano più interessante dell'anno. Una specie di riproposta, modernissima, del CLN". Tutti ne diedero preziose testimonianze scritte, raccolte da Capitini nel volume "In cammino per la pace", edito da Giulio Einaudi nel 1962. E' lo spaccato di un'altra Italia, intellettuale e popolare che, per la prima volta prendeva direttamente la parola sul tema della pace, cosa "troppo importante perchè possa essere lasciata nelle mani dei governanti", come si legge sulla "Mozione del popolo della pace".
La dimensione storica dell'evento, in piena guerra fredda e a poche settimane dalla costruzione del "muro di Berlino", con le sue "onde" che giungono fino a noi attraverso le venti Marce organizzate da allora (le prime a cura del Movimento Nonviolento, anch'esso fondato da Capitini, le successive a cura della Tavola della Pace), e l'urgenza del tema della pace oggi, con il nostro Paese impegnato in "guerre calde" consecutivamente da vent'anni, con la Costituzione italiana che "ripudia la guerra" ma viene invece essa bellamente ripudiata, con la spesa pubblica militare che aumenta inesorabilmente mentre viene drasticamente tagliata la spesa pubblica generale, compresa quella per la cultura...l'insieme di queste dimensioni storica, culturale e politica racchiuse nella marcia Perugia-Assisi del prossimo 25 settembre avrebbero, a mio avviso, meritato un'attenzione da parte della "nostra" Radio di cui non trovo traccia nella programmazione annunciata.
Spero di essere stato distratto.

Cordiali saluti
Reggio Emilia, 11 settembre 2011

Pasquale Pugliese
segreteria nazionale del
Movimento Nonviolento