lunedì 29 agosto 2011

Lettera aperta a Susanna Camusso, Segretaria generale della CGIL


Il Movimento Nonviolento scrive alla CGIL
su sciopero, guerra e spese militari.


Gentile Susanna Camusso,

mentre prepariamo la “Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli”, il 25 settembre da Perugia ad Assisi nel cinquantesimo anniversario della prima del 1961, noi che ci diciamo "amici della nonviolenza", secondo la definizione che volle dare Aldo Capitini, fondatore del nostro Movimento Nonviolento, saremo nelle piazze d'Italia anche il 6 settembre insieme ai lavoratori italiani.

Saremo in piazza con voi per sottolineare con forza che, mentre con il pretesto della crisi internazionale si taglia tutto ciò che ancora rimanda ad un'idea di Stato come patto solidale tra i cittadini voluto dalla Costituzione, non si opera nessun taglio alle spese militari che sono invece già di per sè una rottura in atto e permanente della stessa Costituzione, in quanto preparano lo “strumento guerra” che essa ripudia, sottraendo preziose e ingenti risorse al bilancio dello Stato.

Mentre l’economia del nostro Paese scivola sempre più in basso, è invece stabilmente all'ottavo posto tra i paesi che spendono di più per spesa pubblica militare, come ci ricorda tutti gli anni l'autorevole osservatorio del Sipri di Stoccolma. E mantiene questa posizione non solo non operando tagli in questo settore, ma aumentando – anno dopo anno – l'investimento pubblico nelle spese per la guerra. La cifra astronomica di 25 miliardi di euro, ormai raggiunta dalla spesa bellica, è il valore di un'intera finanziaria di lacrime e sangue per i cittadini e i ceti popolari!

Il Parlamento ha recentemente confermato l'acquisto di 131 cacciabombardieri nucleari F35, per un costo complessivo di ulteriori 16 miliardi di euro, senza considerare le successive spese di manutenzione. Con il costo di uno solo di questi orrendi mostri, portatori di morte, si possono aprire 300 asili nido o pagare l'indennità di disoccupazione per 15.000 cassintegrati.

Se poi si vanno a vedere gli impegni per i programmi pluriennali dei sistemi d’arma, si scopre che dal 2011 al 2019, per nuovi bombardieri, elicotteri, portaerei, fregate, sommergibili e veicoli blindati, il Governo ha impegnato una spesa di 46 miliardi e mezzo, ossia l'equivalente di un’altra enorme finanziaria!

Noi del Movimento Nonviolento saremo a fianco della CGIL nello sciopero generale ed invitiamo Lei ad essere al nostro fianco alla Marcia Perugia-Assisi, ma chiediamo anche che il più grande sindacato italiano, faccia suo l'appello del Presidente Pertini: "si svuotino gli arsenali, strumenti di morte, e si colmino i granai, strumenti di vita". Chiediamo che nelle piazze dei lavoratori si dica, chiaro e forte, che il primo principio di equità, di civiltà e di costituzionalità è il taglio drastico delle spese militari e la loro riconversione in spese civili e sociali.

Come insegnava don Lorenzo Milani ai ragazzi di Barbiana, due sono le leve per cambiare le leggi ingiuste degli uomini, il voto e lo sciopero. E poiché in questo momento ci è impedito lo strumento democratico del voto, condividiamo la scelta del più grande sindacato italiano di usare il più importante strumento di lotta nonviolenta di cui il movimento sindacale è custode: lo sciopero generale.


MOVIMENTO NONVIOLENTO

Mao Valpiana, presidente

Raffaella Mendolia, segretaria

Pasquale Pugliese, segretario

Riuscirà il mio sindacato a dire che...?


La CGIL ha proclamato lo sciopero generale contro la manovra finanziaria per il 6 settembre.
Bene!

Riuscirà, questa volta, il mio sindacato a dire che un cacciabombardiere nucleare costa quanto 300 asili nido o quanto l'indennità di disoccupazione di 15.000 precari?
E l'Italia ne ha prenotati 131!

Riuscirà, questa volta, il mio sindacato a dire che l'Italia è declassata dalle agenzie internazionali di rating ma è stabilmente all'ottavo posto mondiale per la spesa pubblica militare?
25 miiardi di euro!

Riuscirà, ancora, a dire che mentre il governo umilia e depreda il lavoro su cui si fonda la Repubblica la sola voce di spesa in continua e costante ascesa è l'unica ripudiata dalla Costituzione.
Quella per la guerra!

Riuscirà, insomma, il mio sindacato a dire che la prima misura di equità e di civiltà è il taglio drastico delle spese militari e la loro riconversione in spese civili e sociali?

giovedì 18 agosto 2011

Verso la marcia Perugia-Assisi

Sette domande a Pasquale Pugliese


intervista pubblicata su:

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 651 del 18 agosto 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it


- "La nonviolenza e' in cammino": Quale e' stato il significato piu' rilevante della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni?

- Pasquale Pugliese: La "Marcia della pace per la riconciliazione dei popoli" voluta da Aldo Capitini nel 1961 ha rappresentato, per il nostro Paese, l'ingresso sulla scena politica e culturale di un nuovo "soggetto della storia" (convocato da "un nucleo indipendente e pacifista integrale"), ossia di quel "popolo della pace" a nome del quale Capitini lesse, dalla Rocca di Assisi, la "mozione del popolo della pace". E' merito del Movimento Nonviolento - anch'esso voluto da Capitini come esisto politico della Marcia - aver proposto di marciare ancora, nel 1978 decennale della morte del fondatore, da Perugia ad Assisi. E così, grazie a quella "seconda", dare l'avvio al ciclo delle Marce come appuntamento centrale e periodico del "popolo della pace".
La capacità di attrazione politica e simbolica di questa azione corale, che si collega alla grandi marce nonviolente della storia a cominciare dalla gandhiana "Marcia del sale", e' man mano cresciuta nell'allargamento della partecipazione e nella costruzione della soggettività autonoma dai partiti del "popolo della pace" ma, a mio parere, ha progressivamente perso in nitidezza nell'indicarne gli obiettivi politici. Al punto che lo stesso Movimento Nonviolento (che dopo la "terza" del 1985 non aveva più svolto un ruolo attivo di promozione dell'evento) ha ritenuto di convocare una "specifica" Marcia il 24 settembre del 2000, da Perugia ad Assisi, per ribadire il principio "Mai piu' eserciti e guerre".
La Marcia del cinquantesimo anniversario, copromossa dalla Tavola della Pace e dal Movimento Nonviolento, dovrebbe recuperare la lucidita' e la lungimiranza della visione capitiniana, esitando una nuova "mozione del popolo della pace" che, come la prima, affermi dei "principi" e promuova delle "applicazioni concrete" che impegnino tutti i partecipanti.
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- "La nonviolenza e' in cammino": E cosa caratterizzerà maggiormente la marcia che si terrà il 25 settembre di quest'anno?

- Pasquale Pugliese: Scriveva Aldo Capitini nel 1962, ripensando un anno dopo all'esperienza della Marcia della pace, che "una marcia non e' fine a se stessa; continua negli animi, produce onde che vanno lontano, fa sorgere problemi, orientamenti, attività".
Attualmente ci sono due documenti di convocazione della Marcia della pace: uno sottoscritto dalla Tavola della Pace e dal Movimento Nonviolento che richiama l'impegno dei giovani alla partecipazione, in questo momento di crisi dei valori e della politica, per essere "parte della soluzione"; un altro del Movimento fondato da Capitini che mette a fuoco come in questa fase della nostra storia sia in atto la violenta rottura del Patto di cittadinanza che lega gli italiani, che viene "ripudiato" attraverso la costante preparazione e l'uso continuo della guerra come "mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", mentre la Costituzione sancisce, nell'undicesimo dei dodici articoli che la fondano, che e' proprio il mezzo della guerra a dover essere "ripudiato".
Questa violazione e ribaltamento della lettera e dello spirito della Costituzione, oltre ad aver trascinato l'Italia in guerra oggi in Libia ed Afghanistan, ma prima in Iraq, nei Balcani, in Somalia... - con la complicità di tutte le forze parlamentari -, costituisce anche la maggiore fonte di sperpero di risorse pubbliche inghiottite dalla più alta, e sempre crescente, voce di spesa del bilancio dello Stato, quella militare. Al punto che l'Italia, pur declassata dalle agenzie internazionali "cani da guardia" della speculazione finanziaria, e' stabilmente tra i primi dieci paesi al mondo per spesa bellica. Al punto che, finanziaria dopo finanziaria, fasce sempre maggiori di cittadini italiani scivolano nella povertà, ma i governi acquistano fiammanti cacciabombardieri capaci di trasportare le armi nucleari. E uno solo di questi mostri, portatori di morte, costa quanto trecento asili nido!
Legare la rottura bellica della Costituzione con l'assurdità delle spese militari; collegare lo sperpero di risorse pubbliche nei sistemi d'arma, nelle missioni di guerra, nella "casta" dei militari, con la condizione di vita di milioni di persone a cui vengono imposti sacrifici sempre piu' pesanti; connettere questi temi con la nuova capacità di mobilitazione dal basso dei cittadini manifestata nella "primavera italiana", sono "i problemi, gli orientamenti, le attività" che dovremmo far sorgere dalla Marcia della pace del prossimo 25 settembre.
I segnali sono incoraggianti perché sta crescendo la mobilitazione popolare in preparazione della Perugia-Assisi: sono stati costituiti molti comitati promotori locali e si stanno svolgendo tante iniziative territoriali in tutta la penisola. Se dovunque gli amici della nonviolenza presenti portano un contributo di chiarezza e d'impegno, questi temi possono davvero diventarne gli elementi caratterizzanti.
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- "La nonviolenza e' in cammino": Quale e' lo "stato dell'arte" della nonviolenza oggi in Italia?

- Pasquale Pugliese: A me pare che vi sia un aumento della nonviolenza che viene dal basso a contrastare un aumento della violenza che viene dall'alto.
La violenza che viene dall'alto e' crescente: c'e' la guerra che crea stragi tra chi riceve le bombe e vittime (dal punto di vista etico, civile, legale ed economico) tra chi le manda; c'e' un governo razzista e liberticida dei diritti dei migranti; c'e' un modello di sviluppo devastante per l'ecosistema; una finanza internazionale che "obbliga" a ricette economiche ultraliberiste; ci sono interi pezzi del nostro territorio governati direttamente dalle mafie... e si potrebbe continuare a lungo.
E tuttavia, facendo un bilancio sullo "stato dell'arte" della nonviolenza, poco tempo fa, abbiamo condiviso un documento del Movimento Nonviolento che ricorda come "nei dieci anni che ci separano dal G8 di Genova c'e' stata un'importante avanzata della nonviolenza in Italia, sotto molti punti di vista: dalla rinuncia alla reazione violenta di fronte al massacro delle persone e della democrazia avvenuto in quei tragici giorni, alla lenta riorganizzazione di un movimento dal basso e sui territori capace di esercitare il 'potere di tutti; dalla messa in campo di modalità creative di comunicazione nonviolenta per i referendum, alla importante lotta esemplare e di popolo della Val di Susa". Nel documento, articolato in dieci punti, al quale rimando, questi e altri passaggi sono analizzati uno per uno.
Mi sembra opportuno riportare qui l'ultimo punto, il decimo, che collega queste lotte alla prossima Marcia della pace: "Come accaduto dopo il G8 di Genova, i movimenti sono chiamati oggi a dare una nuova prova di maturità e contemporaneamente a compiere un altro passo nel processo di nuova Liberazione popolare da questo regime in putrefazione. C'e' già un appuntamento per tutti i movimenti di lotta nonviolenti ed e' la Marcia per la pace e la riconciliazione tra i popoli, che quest'anno si svolge il 25 settembre, nel cinquantesimo anniversario della prima voluta da Aldo Capitini. Allora, per la prima volta dalla Liberazione il popolo della pace si mise in marcia, con responsabilità e consapevolezza, entrando come un nuovo soggetto nella nostra storia. Da allora non ne sarebbe più uscito e gli stessi movimenti di lotta di questo decennio, anche nelle biografie di molti attivisti, derivano da quella storia. Oggi al popolo della pace, ancora in marcia da Perugia ad Assisi, tocca ancora il compito di fare sintesi di tutte le lotte nonviolente e di porsi come la vera alternativa, aperta e dal basso, alla violenza culturale, strutturale e repressiva di questo potere"
("Dalla Val di Susa al Decennale del G8 di Genova. Dieci punti per una riflessione sulla nonviolenza nei conflitti sociali", a cura del Movimento Nonviolento).
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- "La nonviolenza e' in cammino": Quale ruolo può svolgere il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini?

- Pasquale Pugliese: Prima di rispondere a questa domanda ho letto le diverse risposte già pervenute. Parte di esse oscillano tra la richiesta al Movimento Nonviolento, più o meno, di "sciogliersi" in reti più ampie e quella di assumere su di sé, per tutti, compiti di grande impegno e responsabilità. Forse e' utile proporre una istantanea dello stato attuale del Movimento fondato da Aldo Capitini. Si tratta di una organizzazione - oggi "associazione di promozione sociale" - che nasce cinquanta anni fa e attualmente conta circa duecento iscritti, con attivi referenti locali ("centri") in quasi tutte le regioni d'Italia. Edita la rivista "Azione nonviolenta", fondata anch'essa da Capitini, che oscilla tra i 1.200 e i 1.300 abbonati, una piccola collana di apprezzati "Quaderni" di approfondimento, poi un sito internet (www.nonviolenti.org) e alcuni profili sui "social network". Sono state create nel tempo alcune "Case" e "Centri studi" che fanno riferimento, direttamente o indirettamente, al Movimento Nonviolento. La sede nazionale e' presso la "Casa per la nonviolenza" di Verona. Il Movimento Nonviolento e' infine parte di alcune reti internazionali, la War Resister's International (www.wri-irg.org), e nazionali: l'Ipri - Rete Corpi Civili di Pace (www.reteccp.org), il Comitato italiano per una cultura di pace e nonviolenza (www.decennio.org) e la Rete italiana disarmo (www.disarmo.org). Presidente ne e' Mao Valpiana.
Si tratta dunque di una organizzazione solida e fragile nello stesso tempo. Solida, perché ha saputo attraversare mezzo secolo, dotandosi di modalità di lavoro, di strumenti di azione e di legami solidali che le hanno consentito di diventare, ed essere ancora, un fondamentale punto di riferimento e di promozione per la nonviolenza in Italia. Fragile, perché l'intera organizzazione si fonda esclusivamente sul lavoro volontario degli aderenti (e dei volontari civili) e sugli abbonamenti alla rivista, senza finanziamenti esterni, senza contributi (se non il 5 x 1000 di chi decide di destinarlo al Movimento Nonviolento) e senza pubblicità. E' un patrimonio prezioso di valori, di intelligenze, di generosità personali fondato su quell'insieme di "tensione ideale e familiarità", come nell'impostazione datane da Aldo Capitini e Pietro Pinna, che non può essere disperso, ma va custodito e impegnato con cura. Senz'altro il Movimento Nonviolento può fare di più, essere più incisivo, più presente, più attivo, e in molti più campi, di quanto non riesca ad essere attualmente (e tutti sappiamo quanto ce ne sarebbe bisogno!), ma la possibilità che ciò avvenga e' legata anche all'impegno attivo di tutti coloro che, oltre ad essergli idealmente vicino, scelgano di farne parte aggiungendovi il proprio personale, prezioso ed insostituibile, contributo. Perché "al centro dell'agire sono persone", ricordava spesso Aldo Capitini.
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- "La nonviolenza e' in cammino": Quali i fatti più significativi degli ultimi mesi in Italia e nel mondo dal punto di vista della nonviolenza?

- Pasquale Pugliese: Negli ultimi mesi, tra i tanti, quattro fatti mi sembrano particolarmente significativi - in sé e nelle prospettive che aprono - due internazionali e due interni.
Tra i fatti internazionali, sicuramente le rivoluzioni in Tunisia ed Egitto, le quali, con modalità esplicitamente nonviolente, hanno destituito i regimi autoritari sostenuti e coccolati dai paesi occidentali. Le modalità con le quali i giovani tunisini e i giovani egiziani si sono liberati dai rispettivi tiranni sono "da manuale"; non a caso sono anche circolati di mano in mano traduzioni in arabo dei testi di Gene Sharp, in particolare le "198 tecniche di azione nonviolenta" (da "Internazionale" 888/2011). Certo l'esito delle rivoluzioni e' ancora incerto e il ruolo dei rispettivi eserciti rimane ambiguo - questo a dimostrazione del fatto che la nonviolenza non può esaurirsi in una mera tecnica applicativa - e tuttavia questa pagina di storia araba rimane un grande passo in avanti, che ha molto da insegnare anche a noi della sponda nord del Mediterraneo (per gli approfondimenti, anche sul ruolo svolto da Sharp, si veda il numero di "Azione nonviolenta" 6/2011).
Dal Mediterraneo alla Norvegia, dove ha colpito la grande maturità nonviolenta nella risposta del popolo norvegese di fronte alla lucida follia razzista che ha fatto strage di giovanissimi socialisti, proprio per la loro visione multiculturale della società. Di fronte a questa tragedia e' avvenuto quasi un "satyagraha" nazionale, una collettiva "fermezza nella verità" che ha fatto dire al premier Stoltenberg "risponderemo con più democrazia e più apertura", e ad uno dei ragazzi sopravvissuti alla strage: "Vi prego, non fatemi leggere messaggi pieni di rancore, di sostegno alla pena di morte, o qualcosa di simile. Se qualcuno crede che qualcosa migliorerà uccidendo questa piccola persona triste, ha profondamente torto". Nonviolenza e' civiltà.
Anche in Italia, in questi mesi passati, sono avvenuti significativi fatti di nonviolenza. Con i referendum abrogativi del giugno scorso il sistema di potere e' stato messo seriamente in difficoltà dal popolo che, esercitando il proprio "potere di tutti", ha spiazzato gli stessi apparati dei partiti. Attraverso una mobilitazione dal basso "lillipuziana, reticolare e nonviolenta", in particolare i comitati per l'acqua pubblica hanno prima raccolto da soli un milione e mezzo di firme e poi, saldandosi ai comitati contro l'energia nucleare, hanno (abbiamo!) avuto uno straordinario successo che ha ridato slancio ad uno strumento di democrazia diretta, ormai considerato finito, come il referendum popolare. Mettendo in campo una formidabile capacità di comunicazione creativa ed efficace nel coinvolgimento dei cittadini, anche contro un regime che ha dispiegato dispositivi di neutralizzazione leciti e illeciti, che deve fare da punto di riferimento per le future campagne e iniziative politiche dal basso.
E poi, la straordinaria mobilitazione nonviolenta della Val di Susa nella quale una comunità aperta lotta, da vent'anni, con tenacia, passione e intelligenza contro un'opera inutile, sbagliata, e distruttiva dell'ecosistema. Contro di essa, questa estate - come a Genova, dieci anni fa - il potere ha dispiegato tutta la violenza di cui e' capace. Prima per occupare il territorio dei valligiani, poi per far cadere nella trappola della violenza alcuni tra quelli che erano andati a sostenere la lotta dei valsusini. Mettendo in azione ancora una volta anche il sistema violento dei media che, manipolando la realtà, esercita sulle coscienze di tutti una violenza ancora maggiore di quella reale subita dai manifestanti. Amplificando all'inverosimile l'inutile lancio di qualche sasso di un giorno e tacendo e oscurando i digiuni, i sacrifici, la dedizione e la creatività di un intero popolo resistente nel tempo, che oggi si trova a vivere in un territorio follemente militarizzato per la costruzione dell'Alta velocità. Questa, come e più di altre, e' una lotta locale con una dimensione globale, "perché", come scriveva Capitini, "da una periferia onesta, pulita, nonviolenta, avverrà la resurrezione del mondo".
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- "La nonviolenza e' in cammino": Su quali iniziative concentrare maggiormente l'impegno nei prossimi mesi?

- Pasquale Pugliese: Credo che i temi sui quali dovremmo principalmente concentrare il nostro impegno si possano raggruppare in tre aree: il disarmo, la democrazia, la convivenza.
Per le ragioni che dicevamo prima, agire per il disarmo e' tema urgente e ineludibile. Ce lo impone la nostra coscienza che non può continuare a tollerare che, a suo nome e per suo conto, vengano sganciate bombe in Libia, occupati militarmente territori in Afghanistan e preparate le guerre prossime venture. Ce lo impone la Costituzione italiana che obbliga a cercare "mezzi di risoluzione delle controversie" diversi dalla ripudiata guerra e quindi a sperimentare altre strade d'intervento, per esempio i Corpi Civili di Pace cui dare finalmente risorse e gambe. Ce lo impone la crisi sociale ed economica del nostro paese che non può continuare a vedere la maggior parte dei soldi pubblici destinata all'acquisto, alla manutenzione e all'uso di terribili sistemi di morte e a foraggiare i privilegi inauditi di quell'apparato castale che e' l'esercito, sottraendo enormi risorse finanziarie alle spese civili e sociali. E' necessario perciò individuare la chiave politica per avviare una importante mobilitazione in tal senso.
Ma perché si giunga davvero al disarmo reale e' necessario operare anche per il disarmo culturale, perché la maggior parte della gente e' talmente imbevuta dalla retorica della guerra e della violenza risolutrice che non vede neanche il problema. Proprio nelle ore in cui questo governo becero ha presentato la sua degna finanziaria di "macelleria sociale", anche nelle proposte alternative dell'opposizione parlamentare, o nelle proteste sindacali, non e' indicato neanche un euro di riduzione delle spese militari. L'esercito e le spese militari continuano ad essere un tabù, il "sancta sanctorum" omaggiato e foraggiato da tutti. Dunque c'e' molto lavoro politico da fare, ma anche culturale, formativo, educativo. E in profondità.
Altrettanto urgente e' il tema della democrazia il Italia, che non solo e' ostaggio, da ormai vent'anni, di una cricca senza scrupoli, ma e' drammaticamente violentata dal fortissimo potere delle mafie. Che esercitano un pesante dominio culturale, economico, politico e militare nelle regioni di insediamento primario, ma hanno ormai colonizzato l'intero Paese, orientando le decisioni politiche del governo centrale e di molti Enti locali. Non e' più solo affare di magistratura e forze dell'ordine, ma e' necessario rinforzare, o aiutare a costituirsi, a Sud come a Nord, le reti cittadine di difesa popolare nonviolenta per questa nuova lotta di liberazione nazionale.
E poi c'e' il tema della convivenza. I recenti, tragici fatti di Oslo ci ricordano che nessun paese può dirsi immune da quello che Martin Luther King chiamava "il virus dell'odio". In Italia subiamo, da almeno due decenni, una pesante e penetrante "pedagogia razzista", che ha portato a trasformare la nostra legislazione in senso punitivo e crudele verso i migranti, con il reato di clandestinità, con l'apertura dei nuovi lager dei "Centri di identificazione ed espulsione" e con il crimine contro l'umanità dei respingimenti. Questo e' un tema che mina alla radice la civiltà di un popolo e non a caso molte delle lotte nonviolente del '900 sono nate proprio contro sistemi e regimi razzisti. Del resto, sia la marcia della pace del 1961 che quella di quest'anno sono esplicitamente dedicate alla "fratellanza dei popoli": ebbene, oggi la fratellanza dei popoli la si costruisce tanto nelle relazioni internazionali quanto nelle relazioni interne ai singoli Stati, promuovendo cultura e politiche che sappiano coltivare "la complessa arte della convivenza" (Alex Langer).
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- "La nonviolenza e' in cammino": Se una persona del tutto ignara le chiedesse "Cosa e' la nonviolenza, e come accostarsi ad essa?", cosa risponderebbe?

- Pasquale Pugliese: Ci può aiutare nella risposta lo stesso Aldo Capitini che, nel suo libro “Le tecniche della nonviolenza”, scrive: “la nonviolenza e' affidata ad un metodo che e' aperto ed e' sperimentale”.
Si tratta dunque di un "metodo" di azione che si sviluppa su vari livelli - da quello educativo a quello sociale, da quello personale a quello politico - come reciproca aggiunta tra prassi e teoria, tra azione e pensiero. Al contrario delle costruzioni ideologiche, la nonviolenza non e' prima teorizzata e poi praticata, ma e' prima vissuta come strumento di azione e di cambiamento di singoli e popoli; poi studiata, approfondita e di nuovo sperimentata nell'azione, dove torna rinforzata da quegli studi e approfondimenti teorici. L'insieme di questa elaborazione collettiva ne costituisce, appunto, il metodo. Che e' quindi metodo "aperto" perché nessuno e' custode di una dottrina, di un corpus di norme definitivo, di un “ismo”, ma ciascuno può apportare nuove aggiunte sia sul piano del pensare che dell'agire. Un metodo che può essere usato da tutti perché non si fonda sulla forza fisica o sugli armamenti, ma sulla forza d'animo di ciascuno.
Ed e' anche un metodo "sperimentale", una approssimazione continua per prove ed errori, per le ragioni che lasciamo dire allo stesso Capitini: “La nonviolenza e' positiva e non negativa (non-violenza = amore, cioè apertura affettuosa alla esistenza, libertà, sviluppo di ogni essere), e' attiva, lottatrice e richiede coraggio, e' creativa e trova sempre nuovi modi di attuarsi, e' inesauribile e non può essere attuata perfettamente, ma in continuo avvicinamento; e perciò ci diciamo amici della nonviolenza più che senz'altro nonviolenti”. Ossia, appunto, sperimentatori di nonviolenza. Questo e' l'unico modo che conosco per accostarsi e per starci.

lunedì 1 agosto 2011

La lunga marcia della nonviolenza

(pubblicato su "Azione nonviolenta", luglio 2011)


Da venerdì 17 a domenica 19 giugno Bolzano è stata la capitale italiana della nonviolenza.
Il Centro Pace di Bolzano, Pax Christi, la Tavola della Pace e il Movimento Nonviolento vi hanno svolto un Convegno denso e partecipato in preparazione della Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli, cinquant’anni dopo quella voluta da Aldo Capitini, da Perugia ad Assisi.
E’ stata l’occasione per tanti amici della nonviolenza, vecchi e nuovi, di ritrovarsi sia per fare un bilancio sull’esperienza delle Marce nel mezzo secolo trascorso da quel 24 settembre del 1961, sia per riflettere insieme sulle prospettive che il movimento per la pace vuole aprire con la prossima Marcia del 25 settembre.

La rivoluzione nonviolenta
Il venerdì sera ha aperto i lavori la sessione introduttiva sulle resistenze nonviolente nel Mediterraneo, che ha aiutato a contestualizzare lo scenario di cambiamento internazionale nel quale si colloca questa Marcia per la Pace e del quale vuole essere, a sua volta, parte attiva.
Il sabato mattina si è svolta una doppia sessione di lavori. La prima ha messo a fuoco il tema “Aldo Capitini e la rivoluzione nonviolenta”, con interventi di Fabrizio Truini, Enrico Peyretti e Daniele Lugli, presidente emerito del Movimento Nonviolento. Ne è emersa la figura rivoluzionaria di Capitini, il cui lascito politico e culturale deve ancora essere messo a valore per intero, che continua ad essere compresente attraverso le molte iniziative da lui avviate, sovente in anticipo rispetto ai suoi tempi. Non a caso quest’anno ricorrono sia i cinquanta anni della Marcia Perugia-Assisi sia del Movimento Nonviolento, figlio della “prima” Marcia, entrambi voluti fortemente dal filosofo perugino.
La figura e il pensiero di Capitini e dei “maestri di pace” Danilo Dolci, Tonino Bello, Ernesto Balducci, Lorenzo Milani, Primo Mazzolari e Lanza del Vasto sono poi stati ripresi nei laboratori pomeridiani, nei quali sono stati anche narrati i contatti e i collegamenti reciproci tra questi “profeti di speranza”, che hanno delineato il profilo culturale di un’Italia diversa.

La lunga marcia della nonviolenza
La seconda sessione sul tema “La lunga marcia della nonviolenza” con Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace e mons. Luigi Bettazzi, presidente emerito di Pax Christi, è entrata nel merito della funzione svolta dalle Marce negli ultimi cinquant'anni di storia patria. La Marcia del ’61, è stato ricordato da Mao Valpiana, aveva tre caratteri fondamentali: promossa da un Centro nonviolento indipendente, popolare ed aperta a tutti. Attraverso di essa è entrato sulla scena politica e culturale italiana il movimento per la pace con una propria voce autonoma e, come ha Ricordato Flavio Lotti, un’idea positiva di pace. Voce che ha continuato ad essere presente anche attraverso le venti edizioni successive, sia quelle convocate dal Movimento Nonviolento (1978, 1981, 1985, 2000) che quelle convocate dalla Tavola. Quest’anno, per la prima volta, la Marcia ha una convocazione congiunta del Movimento Nonviolento e della Tavola della Pace. E questo è già il primo importante risultato di questo cinquantesimo anniversario.
Ma la Marcia non può essere solo una celebrazione, deve porre all’attenzione dell’agenda politica della nazione i propri temi specifici (Una "marcia" non è fine a se stessa…fa sorgere problemi, orientamenti, attività, Scriveva Capitini, all’indomani della “prima”), all’altezza dei compiti del presente. Essa deve porre all'attenzione di tutti ciò che il documento preparatorio del Movimento Nonviolento ha definito la “mozione del popolo della pace” (che pubblico di seguito).

I compiti della Marcia per la Pace
Quali siano questi compiti è emerso anche, in parte, nella sessione plenaria del sabato pomeriggio, in particolare con il contributo dal segretario confederale della CGIL Enrico Panini, il quale ha ricordato come non è vero che il governo abbia operato un taglio orizzontale della spesa pubblica, perché c’è un settore, quello delle spese militari che ha raggiunto la cifra astronomica di 25 miliardi di euro, ossia ben 130 milioni in più rispetto allo scorso anno, senza contare le spese folli per la guerra in Libia e l’acquisto dei cacciabombardieri F35. Ammettendo, tra l’altro, che su questo tema lo stesso sindacato “ha il dovere di istruirsi, non può essere disattento”.
Si pone, dunque, con forza il tema del disarmo e del “ripudio” della guerra e della sua preparazione, anche per ricucire lo strappo all’art.11 della Costituzione il quale, ripudiando la guerra come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, indica la necessità della ricerca di “mezzi” alternativi.
Ripudiare la guerra e la sua preparazione e costruirne le alternative è, direbbe Capitini il punto più profondo del sovvertimento di una realtà inadeguata, a partire dal quale si possono aprire prospettive di trasformazione profonda in tutti i piani di realtà, come è stato anche evidenziato dai relatori nella sessione conclusiva di domenica mattina: nelle chiese (Fabio Corazzina), nella cultura e nel linguaggio (Lidia Menapace), nell’economia (Nanni Salio). E si possono costruire modalità nonviolente per la trasformazione dei conflitti, capaci di fondare una nuova convivenza, dal piano delle relazioni interpersonali a quello delle relazioni internazionali (Marianella Sclavi).
Alla fine di questo importante Convegno erano ancora molte le cose che si sarebbero potute dire, i confronti che si sarebbero potuti avviare, ma i tempi serrati e le molte relazioni previste non hanno lasciato molto spazio al dialogo tra tutti, al capitiniano ascoltare e parlare.

La mozione del popolo della pace
Tuttavia ci siamo lasciati con la chiara consapevolezza che con la Marcia del 25 settembre ci aspetta un compito importante e, per certi versi, analogo a quello della prima edizione. La Marcia del 1961 era perfettamente inserita nella storia del suo tempo - la guerra fredda, con le forti ripercussioni italiane - rispetto alla quale ha aggiunto la voce e la presenza fisica di un nuovo soggetto storico: il popolo della pace. Analogamente la Marcia del 2011 si deve inserire nel tempo presente in maniera proattiva e propositiva.
E' questo un tempo in cui, dopo vent’anni di berlusconismo, il vento del cambiamento politico e della partecipazione dal basso ha iniziato a soffiare impetuoso anche in Italia. Ha soffiato con le elezioni amministrative e, sopratutto, con i referendum che hanno travolto le alchimie delle segreterie dei partiti ed hanno posto alcuni punti chiari di un metodo di partecipazione e di nuovo programma politico. Il metodo è quello dell’assunzione della responsabilità individuale e dell’esercizio del “potere di tutti”, che ha fatto risorgere dal basso il principale istituto di democrazia diretta previsto in Italia, il referendum popolare. Attraverso di esso, i cittadini hanno espresso tre fondamentali principi: i beni comuni sono sottratti al neoliberismo e alla logica di mercato; l’energia si deve coniugare con l’ecologia, cioè con l’ambiente, la salute e il futuro; la legge è uguale per tutti.
Alla Marcia della pace, che deve diventare la prossima tappa di questo nuovo processo di Liberazione del paese, rimane il compito e la responsabilità di indicare ancora un principio, di porre la propria mozione in questo varco della storia: il ripudio della guerra e della sua preparazione, il disarmo e la costruzione dei “mezzi” alternativi.
Una rivoluzione nonviolenta e costituzionale, che apre tutte le altre.




Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli
Perugia – Assisi
25 settembre 2011

il documento di convocazione del Movimento Nonviolento


Mozione del popolo della pace:
Ripudiare la guerra, non la Costituzione


Una "marcia" non è fine a se stessa;
continua negli animi,
produce onde che vanno lontano,
fa sorgere problemi, orientamenti, attività.


Aldo Capitini
(1962)

Quando Aldo Capitini scriveva queste parole a commento della "Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli" del 1961 era consapevole di aver aperto un varco nella storia del '900 attraverso il quale per la prima volta era entrato in scena ed aveva preso la parola, in prima persona, il "popolo della pace" che, convocato in una "Assemblea itinerante" partita da Perugia e giunta alla Rocca di Assisi, approvava la Mozione del popolo della pace.

Da quel settembre di 50 anni fa il popolo della pace non è più uscito di scena e non ha più rinunciato al diritto alla parola. Molte altre volte si è riconvocato in assemblea ed ha marciato da Perugia ad Assisi, ponendo problemi, indicando orientamenti, promuovendo attività.
L'onda prodotta dalla prima Marcia è ora giunta fino a noi.
Noi ci assumiamo la responsabilità di convocare ancora il popolo della pace, non solo perchè c'è da celebrare il suo cinquantesimo anniversario, ma sopratutto perchè è necessario che esso faccia sentire ancora la sua voce, approvi oggi una nuova Mozione del popolo della pace.
Faccia ancora sorgere problemi, orientamenti, attività.

Il problema fondamentale che vuole far sorgere il popolo della pace, nel 50° anniversario della prima Marcia per la pace e nel 150° anniversario dell'Unità d'Italia, è il rispetto integrale della Costituzione della Repubblica italiana.
La Costituzione è da tempo sotto attacco sotto molteplici aspetti, ma sotto uno in particolare è già profondamente e dolorosamente lacerata, anzi ripudiata. I padri costituenti hanno accuratamente selezionato le parole con le quali scrivere il Patto fondativo della nazione e solo nei confronti della guerra hanno usato, all'articolo 11, il verbo "ripudiare" – che vuol dire rinnegare, sconfessare, respingere – non solo come "strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, ma anche come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Da tempo ormai, attraverso l'artificio retorico dell'intervento umanitario, è invece questo articolo della Costituzione ad essere stato ripudiato (rinnegato, sconfessato, respinto) e la guerra è tornata ad essere strumento e mezzo accettato, preparato e utilizzato. Inoltre la preparazione di questo mezzo risucchia la parte più consistente della spesa pubblica che non può essere utilizzata nè per garantire i diritti sociali affermati dalla stessa Costituzione, nè per costruire e sperimentare altri mezzi di risoluzione delle controversie internazionali coerenti con la lettera e lo spirito della Costituzione.
Questo è il problema fondamentale che pone il popolo della pace e riguarda le basi stesse del nostro ordinamento democratico, del nostro patto civile nazionale: occorre ripudiare la guerra non la Costituzione.

Il popolo della pace non si limita a denunciare il problema, ma indica un orientamento per la sua soluzione: la nonviolenza. Che non è principio astratto ma concreta ricerca di mezzi alternativi alla violenza e alla guerra.
Mentre i padri costituenti sanciscono il ripudio della guerra come "mezzo" di risoluzione delle controversie, i padri e le madri della nonviolenza si concentrano proprio sulla ricerca dei "mezzi" per affrontare e trasformare positivamente i conflitti. "Nella grossa questione del rapporto tra il mezzo e il fine, la nonviolenza porta il suo contributo in quanto indica che il fine della pace non può realizzarsi attraverso la vecchia legge Se vuoi la pace, prepara la guerra, ma attraverso un'altra legge: Durante la pace prepara la pace", scrive Aldo Capitini. Perchè, come spiega Gandhi, "tra mezzo e fine vi è lo stesso inviolabile nesso che c'è tra seme e albero".
L'orientamento che indica il popolo della pace è di investire le risorse pubbliche non più per le ingenti, e sempre crescenti, spese militari e per armamenti, ma per ricercare, promuovere e sperimentare efficaci strumenti e mezzi di pace. Sia sul piano culturale di una diffusa educazione alla pace e alla nonviolenza, volta a rivitalizzare sentimenti di responsabilità individuale, di partecipazione democratica, di apertura alla convivenza. Sia sul piano dell'organizzazione sociale, economica ed energetica fondata sulla sostenibilità, la semplicità, i beni comuni. Sia sul piano dell'approntamento degli strumenti non armati per gli interventi veri e propri nelle situazioni di oppressione e di conflitto, interni e internazionali.

Nel porre il problema del ripudo della guerra, e non della Costituzione, nell'indicare l'orientamento alla nonviolenza e ai mezzi non armati per la risoluzione dei conflitti, il popolo della pace promuove le attività e le campagne necessarie: il disarmo e la costituzione dei corpi civili di pace.
La guerra, comunque aggettivata – umanitaria, preventiva, giusta, chirurgica ecc. - è un costo insostenibile sia in termini di vite umane e sofferenze per le popolazioni, sia in termini di tenuta del patto democratico, sia in termini di bilanci economici. Mentre tutti i settori della spesa pubblica subiscono pesanti e continue contrazioni, mentre i settori produttivi risentono delle crisi finanziarie internazionali, solo il settore delle spesa pubblica militare lievita incessantemente e solo il settore dell'industria degli armamenti diventa più florido. In questo preparare quotidianamente, ed economicamente, il mezzo della guerra, la Costituzione è già ripudiata. L'invio dei bombardieri ne è solo la tragica ma inevitabile conseguenza. Perciò la condizione preliminare e necessaria per il ripudio della guerra è il disarmo. In tempo di crisi, l'invito del presidente Pertini è sempre più attuale: "Svuotare gli arsenali e riempire i granai": questa è la prima attività.
La seconda attività è darsi i mezzi e gli strumenti necessari per intervenire all'interno dei conflitti, come prevedono sia la Costituzione italiana che la Carta delle Nazioni Unite, ossia costituire i Corpi Civili di Pace nazionali e internazionali. Dotare il nostro Paese, e orientare in questo senso le Organizzazioni internazionali, di Forze disarmate costituite da personale formato ed equipaggiato, presente nei luoghi dei conflitti prima che questi degenerino in guerra. Corpi civili esperti nella complessa ma indispensabile arte della prevenzione, mediazione, interposizione e riconcliazione tra le parti.
Significa costruire un nuovo ordine internazionale fondato sulla nonviolenza.
Se poi tutti gli interventi civili messi in campo, fino in fondo, all'interno di un conflitto non saranno stati efficaci e sarà necessario un intervento, limitato e circoscritto, di una forza armata, sarà compito della Polizia internazionale al servizio delle Nazioni Unite. La quale, come tutte le polizie, non farà guerre e bombardamenti ma separerà i contendenti, neutralizzando i soggetti più violenti e arrestando chi si rende responsabile di crimini.

Per il popolo della pace questo è il nuovo varco da aprire oggi nella storia.
Questa la sua Mozione: ripudiare la guerra, non la Costituzione.
Per questo marcerà ancora una volta da Perugia ad Assisi