venerdì 18 febbraio 2011

La pedagogia della scuola delegata ai militari

Una società chiusa ha il diritto di produrre una scuola a sè conforme?

di Pasquale Pugliese

(pubblicato su “Azione nonviolenta. Rivista fondata da Aldo Capitini nel 1964”, gen-feb 2011)


La cultura della forza
Uno striscione degli studenti medi romani, esposto nella bella manifestazione nonviolenta del ventidue dicembre, quella che ha ignorato la "zona rossa" che blindava i palazzi del potere nella loro solitudine, così portava scritto: la vostra cultura è la forza, la nostra forza è la cultura.
In quella frase, quei ragazzi in lotta per una scuola di qualità per tutti, avevano sintetizzato una verità profonda, forse al di là delle loro stesse intenzioni. La "cultura della forza" che contestano, infatti, non è solo quella che il governo ha messo in campo in funzione repressiva rispetto alle manifestazioni di protesta; nè è solo quella che, per esempio, esercita quotidianamente nei confronti dei migranti, trattati da delinquenti per il fatto stesso di esistere; nè, ancora, è solo quella dei mille strappi quotidiani nei confronti dello stato di diritto del nostro paese o quella di mantenere presìdi armati in zone di guerra, contravvenendo alla lettera ed allo spirito della Costituzione. La "cultura della forza" è anche quella che, all'interno del governo - in assenza di qualsiasi pensiero pedagogico a fondamento delle cosiddette "riforme" della scuola e dell'università, anzi con vero fastidio e insofferenza di fronte a qualsiasi discorso pedagogico – ha delegato la definizione e la declinazione del modello educativo per il Paese alla cultura della forza per definizione, quella delle Forze Armate.

Tutta colpa dei...pedagogisti
Già nel 2008 i pedagogisti italiani avevano delegittimato su un piano educativo la contro-riforma della scuola voluta dal'avvocato Gelmini, ministro dell'istruzione. Per esempio, due tra i più importanti studiosi italiani, il pedagogista Andrea Canevao e lo psicologo Dario Ianes, si sono dimessi dall'Osservatorio sull'integrazione scolastica del Ministero dell'Istruzione con questa motivazione: "Questa nuova politica scolastica fatta di tagli, economie presunte, annunci e smentite, rigore, disciplina, ordine, divise, autorità, voto in condotta, bocciature, selezione produce in tutti ulteriore insicurezza, diffidenza e conflitti. Queste politiche scolastiche sono evidentemente gestite da finalità economicistiche, per risparmiare: ma questo avverrà sulle spalle delle famiglie, sulla pelle degli alunni e sulla credibilità della Scuola pubblica, come la vuole la nostra Costituzione. In questo clima di "produzione sociale di ostilità, diffidenza, tensione", anche la Pedagogia subisce un violento attacco. Nel clima di rinnovato rigore scolastico, chi viene additato come responsabile dello sfascio, oltre naturalmente ai fannulloni? L'ideologo dei fannulloni e dei lassisti: il pedagogista... Chi perdonava tutto, chi non ha polso, chi comprende tutto invece di punire, chi non ha le palle per imporsi, chi ci affumica con discorsi fumosi pseudofilosofici, chi non dava importanza alle discipline, il pedagogista debole, che ha indebolito la Scuola Italiana, ecc. Ecco, a questo clima di strisciante, ma non troppo, denigrazione, come pedagogisti non ci stiamo."

La militarizzazione della scuola
Ed entrando nel merito della contro-riforma, un altro importante pedagogista, Luigi Guerra, preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Univeriotà di Bologna, così ha scritto, tra le altre cose, in merito reintroduzione della valutazione numerica sia sul piano del rendimento che della "condotta": "In qualsiasi università, uno studente che presentasse queste scelte come funzionali ad un miglioramento della qualità del rendimento e del comportamento degli studenti verrebbe trattato come una matricola impreparata. Il problema non sta nelle forme del giudizio, ma nel modo in cui ci si arriva, nel come si riesce ad insegnare e a costruire la socializzazione e l’ apprendimento dei ragazzi: limitarsi a restaurare le modalità per constatare e sanzionare le loro lacune e indiscipline è un’ operazione che corrisponde semplicemente al desiderio di riversare ogni responsabilità sugli studenti, sulle loro famiglie, sul loro ambiente di vita; alla scelta di eliminare dalla scuola chi dà fastidio, chi parla e pensa in modo diverso dalla cultura dominante. In definitiva, chi dovrebbe essere oggetto di cura, non di sanzione. Ed è un vero peccato che autorevoli opinionisti, anche normalmente illuminati, si siano fatti contaminare da questa voglia di restaurazione burocratica, di militarizzazione della scuola".

Il 4 novembre a scuola
In realtà, la militarizzazione della scuola, paventata dal professor Guerra, si è spinta ben oltre le forme sanzionatorie nei confronti degli studenti. Infatti, non avendo il supporto dei pedagogisti, il "pedagogista" di riferimento dell'avvocato Gelmini è diventato il ministro della difesa La Russa al quale la prima ha delegato, di fatto, le "linee guida" per la formazione della gioventù italiana.
I primi effetti di questo delega si sono visti in occasione delle celebrazioni del 4 novembre del 2009, "giornata delle forze armate", quando ufficiali delle varie armi furono mandati nelle scuole superiori per raccontare la "vittoria" nella prima guerra mondiale. Non storici o esperti capaci di aiutare i ragazzi a riflettere su "l'inutile strage", come Benedetto XV defini la "grande guerra", aiutandoli a interrogarsi sulle alternative alla guerra "quale mezzo di risoluzione delle controversie" – come vuole la nostra Costituzione - ma proprio i militari che festeggiano se stessi in questa ricorrenza, imposta dal regime fascista e mai più messa in discussione.
Ma, come ai tempi di don Milani, questo non fa "scandalo", fanno "scandalo" invece le posizioni di qualche insegante che, in piena coscienza, rifiuta di accompagnare la propria classe alle celebrazioni del 4 novembre, subendo per ciò le accuse della stampa e dei...carabinieri. E' quanto successo in Sardegna, per il 4 novembre del 2010 , come riportato dal quotidiano l'Unione Sarda del 20 novembre: "La lezione della professoressa di Lettere delle scuole medie di Villasalto, Stefania Coda, è pacifista. Anzi, anti-militarista. «Nella storia, gli eserciti hanno portato soltanto morte e le guerre sono sempre state conquista di territori e risorse. Missione di pace o guerra umanitaria sono ossimori». E quindi la docente ha deciso di non accompagnare una delle sue due classi alla messa e alla cerimonia in ricordo dei Caduti in guerra, lo scorso 4 novembre, festa delle Forze Armate. Invece, ha portato ai ragazzi documenti su posizioni decisamente e diversamente schierate. Titolo: soldati e ufficiali diventino un ricordo del passato . Conclusione: il 4 novembre non è una festa ma un lutto, non esistono guerre giuste e umanitarie, no alle missioni militari .(...) Sicuramente il capitano Lo Iacono inoltrerà un rapporto alla Procura: «Potrebbe ipotizzarsi - spiega l'ufficiale dei carabinieri - il reato di vilipendio delle Forze Armate, articolo 290 del Codice penale». Perché nel documento letto dalla professoressa Coda si elencavano alcuni episodi della storia d'Italia che non compaiono sui libri di scuola: la costruzione dei lager in Libia, l'utilizzo di armi chimiche in Etiopia nel 1935-36, la deportazione di migliaia di libici, l'edificazione di carceri in Somalia tra i più disumani".
Dall'articolo non è dato sapere se i libri di storia "negazionisti" sulle atrocità commesse dall'esercito italiano in giro per il mondo, documentati dalla la storiografia internazionale, siano quelli letti dal capitato o dal giornalista, o da entrambi...

"sinergia sempre più sospinta..."
Di certo non sono i libri che leggevano i ragazzi di Barbiana, già nei primi anni '60, con il loro maestro Lorenzo Milani, il quale aveva assolutamente chiaro che l'obbligo morale per un educatore era di "demistificare" le narrazioni del potere perchè (come scriveva nella sua autodifesa al processo per "apologia di reato", per aver difeso pubblivamente gli obiettori di coscienza in carcere): "La scuola siede tra passato e futuro e deve averli presenti entrambi. E' l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare il loro senso della legalità, dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico".
Anche il ministro (ex?) fascista La Russa vuole formare “il senso politico” dei ragazzi, anzi d'ntesa con la sua collega Gelmini, vuole allenarli "per la vita", come recita il nome del progetto frutto del "protocollo d'intesa tra il Comando militare dell'esercito "Lombardia" e l'Ufficio scolastico provinciale per la Lombardia", a partire dal "documento di indirizzo del Ministero dell'istruzione per la sperimentazione dell'insegnamento di "Cittadinanza e Costituzione"...
Per ribadire con più precisione che questa intesa è un tassello all'interno di una collaborazione strategica tra scuola ed esercito, nell'opuscolo informativo sul progetto "allenati alla vita" distribuito nelle scuole, si legge: "Tale iniziativa è supportata dalla sinergia tra il Ministero della Pubblica Istruzione e il Ministero della Difesa che viene sempre di più sospinta dal Ministro Gelmini e dal Ministro La Russa"

Analisi di una proposta "formativa"
Il libretto di presentazione del progeto "allenati alla vita"- distribuito con i loghi di Regione Lombardia, Comando Militare Esercito Lombardia, UNUCI e Ufficio Scolastico Regionale - prodotto su sfondo mimetico e con gran corredo di foto di militari in azione "formativa" e di ragazzi in tuta mimetica, fa di tutto per non essere equivoco sui contenuti educativi. Vediamo.
La gestione del progetto è in mano all'UNUCI (unione nazionale ufficiali in congedo) il cui personale è così presentato: "personale in congedo e della Riserva che spesso ha preso parte in missioni all'estero, e ha recentemente effettuato periodi di richiamo presso i reparti dell'Esercito Italiano". Questo personale "esperto nelle diverse discipline" svolge gli "incontri addestrativi" su dieci temi, di cui otto portano questi titoli: "cultura militare; difesa nucleare, batteriologica e chimica; trasmissioni; armi e tiro; mezzi dell'esercito; superamento ostacoli; sopravvivenza in ambienti ostili". Di attinenti, in qualche modo, all'insegnamento di "Cittadinanza e Costituzione", citato nel protocollo d'intesa, rimane, a voler essere generosi, "topografia ed orientamento" e poi "diritto costituzionale". Tema che, come per il 4 novembre, non viene affidato ad esperti giuristi ma ai militari reduci da quelle missioni guerra, "ripudiate" dalla Costituzione...
La gara finale, nella quale i ragazzi dovranno mettere in atto "tutte le tematiche che vengono trattate durante gli incontri Esercito-Scuola", si configura come una vera e propria esercitazione para-militare: "i cadetti verranno suddivisi in squadre da quattro elementi...le prove che le pattuglie dovranno affrontare sono strutturate come simulazioni...inerenti allo svolgimento della missione...".

Rimpallo e sospensione
Dopo che "Famiglia Cristiana" e poi, man mano, "il manifesto" ed altre testate hanno cominciato a far emergere il progetto "formativo" che stava prendendo il via in Lombardia, con il coinvolgimento di cira 800 studenti distribuiti in 38 scuole secondarie superiori (e ciò ha portato anche ad alcune interrogazioni parlamentari) c'è stato uno scarico di responsabilità da parte del Ministero dell'Istruzione, il quale in una nota ha affermato che Gelmini e La Russa "non erano presenti alla firma del protocollo d'intesa"...! Poi, sull'onda delle proteste studentesche, unite nello slogan "make school, not war" (fate la scuola, non la guerra), da parte dell'UNUCI è stata annunciata, con un comunicato stampa, la "sospensione" unilaterale del progetto. Ma oggi sull'home page del sito di questa organizzazione, "gli incontri Esercito – Scuola Allenarsi alla vita" continuano ad essere ben evidenziati, mentre non ce n'è traccia sul sito dell Ufficio Scolastico Regionale, nè nella sezione dedicata a "Cittadinanza e Costituzione" , nè in quella relativa ai "protocolli d'intesa...Forse, per una volta, un senso salutare di vergogna ha prevalso.
Ciò che è certo, è che di fronte a questo rigurgito di militarismo che si fa spazio con prepotenza nelle istituzioni educative, è necessario recuperare una forte cultura pedagogica che abbia ben chiaro sia il tema generale dell'educazione come argine alla cultuta di guerra, sia quello dell'educazione nonviolenta come responsabilità fondamentale dell'educatore. A patire dal principio dall'obiezione di coscienza. Una cultura che riscopra il pensiero degli ducatori italiani di nonviolenza, don Milani a Danilo Dolci a Gianni Rodari...e che con Aldo Capitini, abbia la forza di porsi e porre una domanda fondamentale: "Una società chiusa ha il diritto di produrre una scuola a sè conforme?".