lunedì 1 agosto 2011

La lunga marcia della nonviolenza

(pubblicato su "Azione nonviolenta", luglio 2011)


Da venerdì 17 a domenica 19 giugno Bolzano è stata la capitale italiana della nonviolenza.
Il Centro Pace di Bolzano, Pax Christi, la Tavola della Pace e il Movimento Nonviolento vi hanno svolto un Convegno denso e partecipato in preparazione della Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli, cinquant’anni dopo quella voluta da Aldo Capitini, da Perugia ad Assisi.
E’ stata l’occasione per tanti amici della nonviolenza, vecchi e nuovi, di ritrovarsi sia per fare un bilancio sull’esperienza delle Marce nel mezzo secolo trascorso da quel 24 settembre del 1961, sia per riflettere insieme sulle prospettive che il movimento per la pace vuole aprire con la prossima Marcia del 25 settembre.

La rivoluzione nonviolenta
Il venerdì sera ha aperto i lavori la sessione introduttiva sulle resistenze nonviolente nel Mediterraneo, che ha aiutato a contestualizzare lo scenario di cambiamento internazionale nel quale si colloca questa Marcia per la Pace e del quale vuole essere, a sua volta, parte attiva.
Il sabato mattina si è svolta una doppia sessione di lavori. La prima ha messo a fuoco il tema “Aldo Capitini e la rivoluzione nonviolenta”, con interventi di Fabrizio Truini, Enrico Peyretti e Daniele Lugli, presidente emerito del Movimento Nonviolento. Ne è emersa la figura rivoluzionaria di Capitini, il cui lascito politico e culturale deve ancora essere messo a valore per intero, che continua ad essere compresente attraverso le molte iniziative da lui avviate, sovente in anticipo rispetto ai suoi tempi. Non a caso quest’anno ricorrono sia i cinquanta anni della Marcia Perugia-Assisi sia del Movimento Nonviolento, figlio della “prima” Marcia, entrambi voluti fortemente dal filosofo perugino.
La figura e il pensiero di Capitini e dei “maestri di pace” Danilo Dolci, Tonino Bello, Ernesto Balducci, Lorenzo Milani, Primo Mazzolari e Lanza del Vasto sono poi stati ripresi nei laboratori pomeridiani, nei quali sono stati anche narrati i contatti e i collegamenti reciproci tra questi “profeti di speranza”, che hanno delineato il profilo culturale di un’Italia diversa.

La lunga marcia della nonviolenza
La seconda sessione sul tema “La lunga marcia della nonviolenza” con Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace e mons. Luigi Bettazzi, presidente emerito di Pax Christi, è entrata nel merito della funzione svolta dalle Marce negli ultimi cinquant'anni di storia patria. La Marcia del ’61, è stato ricordato da Mao Valpiana, aveva tre caratteri fondamentali: promossa da un Centro nonviolento indipendente, popolare ed aperta a tutti. Attraverso di essa è entrato sulla scena politica e culturale italiana il movimento per la pace con una propria voce autonoma e, come ha Ricordato Flavio Lotti, un’idea positiva di pace. Voce che ha continuato ad essere presente anche attraverso le venti edizioni successive, sia quelle convocate dal Movimento Nonviolento (1978, 1981, 1985, 2000) che quelle convocate dalla Tavola. Quest’anno, per la prima volta, la Marcia ha una convocazione congiunta del Movimento Nonviolento e della Tavola della Pace. E questo è già il primo importante risultato di questo cinquantesimo anniversario.
Ma la Marcia non può essere solo una celebrazione, deve porre all’attenzione dell’agenda politica della nazione i propri temi specifici (Una "marcia" non è fine a se stessa…fa sorgere problemi, orientamenti, attività, Scriveva Capitini, all’indomani della “prima”), all’altezza dei compiti del presente. Essa deve porre all'attenzione di tutti ciò che il documento preparatorio del Movimento Nonviolento ha definito la “mozione del popolo della pace” (che pubblico di seguito).

I compiti della Marcia per la Pace
Quali siano questi compiti è emerso anche, in parte, nella sessione plenaria del sabato pomeriggio, in particolare con il contributo dal segretario confederale della CGIL Enrico Panini, il quale ha ricordato come non è vero che il governo abbia operato un taglio orizzontale della spesa pubblica, perché c’è un settore, quello delle spese militari che ha raggiunto la cifra astronomica di 25 miliardi di euro, ossia ben 130 milioni in più rispetto allo scorso anno, senza contare le spese folli per la guerra in Libia e l’acquisto dei cacciabombardieri F35. Ammettendo, tra l’altro, che su questo tema lo stesso sindacato “ha il dovere di istruirsi, non può essere disattento”.
Si pone, dunque, con forza il tema del disarmo e del “ripudio” della guerra e della sua preparazione, anche per ricucire lo strappo all’art.11 della Costituzione il quale, ripudiando la guerra come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, indica la necessità della ricerca di “mezzi” alternativi.
Ripudiare la guerra e la sua preparazione e costruirne le alternative è, direbbe Capitini il punto più profondo del sovvertimento di una realtà inadeguata, a partire dal quale si possono aprire prospettive di trasformazione profonda in tutti i piani di realtà, come è stato anche evidenziato dai relatori nella sessione conclusiva di domenica mattina: nelle chiese (Fabio Corazzina), nella cultura e nel linguaggio (Lidia Menapace), nell’economia (Nanni Salio). E si possono costruire modalità nonviolente per la trasformazione dei conflitti, capaci di fondare una nuova convivenza, dal piano delle relazioni interpersonali a quello delle relazioni internazionali (Marianella Sclavi).
Alla fine di questo importante Convegno erano ancora molte le cose che si sarebbero potute dire, i confronti che si sarebbero potuti avviare, ma i tempi serrati e le molte relazioni previste non hanno lasciato molto spazio al dialogo tra tutti, al capitiniano ascoltare e parlare.

La mozione del popolo della pace
Tuttavia ci siamo lasciati con la chiara consapevolezza che con la Marcia del 25 settembre ci aspetta un compito importante e, per certi versi, analogo a quello della prima edizione. La Marcia del 1961 era perfettamente inserita nella storia del suo tempo - la guerra fredda, con le forti ripercussioni italiane - rispetto alla quale ha aggiunto la voce e la presenza fisica di un nuovo soggetto storico: il popolo della pace. Analogamente la Marcia del 2011 si deve inserire nel tempo presente in maniera proattiva e propositiva.
E' questo un tempo in cui, dopo vent’anni di berlusconismo, il vento del cambiamento politico e della partecipazione dal basso ha iniziato a soffiare impetuoso anche in Italia. Ha soffiato con le elezioni amministrative e, sopratutto, con i referendum che hanno travolto le alchimie delle segreterie dei partiti ed hanno posto alcuni punti chiari di un metodo di partecipazione e di nuovo programma politico. Il metodo è quello dell’assunzione della responsabilità individuale e dell’esercizio del “potere di tutti”, che ha fatto risorgere dal basso il principale istituto di democrazia diretta previsto in Italia, il referendum popolare. Attraverso di esso, i cittadini hanno espresso tre fondamentali principi: i beni comuni sono sottratti al neoliberismo e alla logica di mercato; l’energia si deve coniugare con l’ecologia, cioè con l’ambiente, la salute e il futuro; la legge è uguale per tutti.
Alla Marcia della pace, che deve diventare la prossima tappa di questo nuovo processo di Liberazione del paese, rimane il compito e la responsabilità di indicare ancora un principio, di porre la propria mozione in questo varco della storia: il ripudio della guerra e della sua preparazione, il disarmo e la costruzione dei “mezzi” alternativi.
Una rivoluzione nonviolenta e costituzionale, che apre tutte le altre.




Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli
Perugia – Assisi
25 settembre 2011

il documento di convocazione del Movimento Nonviolento


Mozione del popolo della pace:
Ripudiare la guerra, non la Costituzione


Una "marcia" non è fine a se stessa;
continua negli animi,
produce onde che vanno lontano,
fa sorgere problemi, orientamenti, attività.


Aldo Capitini
(1962)

Quando Aldo Capitini scriveva queste parole a commento della "Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli" del 1961 era consapevole di aver aperto un varco nella storia del '900 attraverso il quale per la prima volta era entrato in scena ed aveva preso la parola, in prima persona, il "popolo della pace" che, convocato in una "Assemblea itinerante" partita da Perugia e giunta alla Rocca di Assisi, approvava la Mozione del popolo della pace.

Da quel settembre di 50 anni fa il popolo della pace non è più uscito di scena e non ha più rinunciato al diritto alla parola. Molte altre volte si è riconvocato in assemblea ed ha marciato da Perugia ad Assisi, ponendo problemi, indicando orientamenti, promuovendo attività.
L'onda prodotta dalla prima Marcia è ora giunta fino a noi.
Noi ci assumiamo la responsabilità di convocare ancora il popolo della pace, non solo perchè c'è da celebrare il suo cinquantesimo anniversario, ma sopratutto perchè è necessario che esso faccia sentire ancora la sua voce, approvi oggi una nuova Mozione del popolo della pace.
Faccia ancora sorgere problemi, orientamenti, attività.

Il problema fondamentale che vuole far sorgere il popolo della pace, nel 50° anniversario della prima Marcia per la pace e nel 150° anniversario dell'Unità d'Italia, è il rispetto integrale della Costituzione della Repubblica italiana.
La Costituzione è da tempo sotto attacco sotto molteplici aspetti, ma sotto uno in particolare è già profondamente e dolorosamente lacerata, anzi ripudiata. I padri costituenti hanno accuratamente selezionato le parole con le quali scrivere il Patto fondativo della nazione e solo nei confronti della guerra hanno usato, all'articolo 11, il verbo "ripudiare" – che vuol dire rinnegare, sconfessare, respingere – non solo come "strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, ma anche come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Da tempo ormai, attraverso l'artificio retorico dell'intervento umanitario, è invece questo articolo della Costituzione ad essere stato ripudiato (rinnegato, sconfessato, respinto) e la guerra è tornata ad essere strumento e mezzo accettato, preparato e utilizzato. Inoltre la preparazione di questo mezzo risucchia la parte più consistente della spesa pubblica che non può essere utilizzata nè per garantire i diritti sociali affermati dalla stessa Costituzione, nè per costruire e sperimentare altri mezzi di risoluzione delle controversie internazionali coerenti con la lettera e lo spirito della Costituzione.
Questo è il problema fondamentale che pone il popolo della pace e riguarda le basi stesse del nostro ordinamento democratico, del nostro patto civile nazionale: occorre ripudiare la guerra non la Costituzione.

Il popolo della pace non si limita a denunciare il problema, ma indica un orientamento per la sua soluzione: la nonviolenza. Che non è principio astratto ma concreta ricerca di mezzi alternativi alla violenza e alla guerra.
Mentre i padri costituenti sanciscono il ripudio della guerra come "mezzo" di risoluzione delle controversie, i padri e le madri della nonviolenza si concentrano proprio sulla ricerca dei "mezzi" per affrontare e trasformare positivamente i conflitti. "Nella grossa questione del rapporto tra il mezzo e il fine, la nonviolenza porta il suo contributo in quanto indica che il fine della pace non può realizzarsi attraverso la vecchia legge Se vuoi la pace, prepara la guerra, ma attraverso un'altra legge: Durante la pace prepara la pace", scrive Aldo Capitini. Perchè, come spiega Gandhi, "tra mezzo e fine vi è lo stesso inviolabile nesso che c'è tra seme e albero".
L'orientamento che indica il popolo della pace è di investire le risorse pubbliche non più per le ingenti, e sempre crescenti, spese militari e per armamenti, ma per ricercare, promuovere e sperimentare efficaci strumenti e mezzi di pace. Sia sul piano culturale di una diffusa educazione alla pace e alla nonviolenza, volta a rivitalizzare sentimenti di responsabilità individuale, di partecipazione democratica, di apertura alla convivenza. Sia sul piano dell'organizzazione sociale, economica ed energetica fondata sulla sostenibilità, la semplicità, i beni comuni. Sia sul piano dell'approntamento degli strumenti non armati per gli interventi veri e propri nelle situazioni di oppressione e di conflitto, interni e internazionali.

Nel porre il problema del ripudo della guerra, e non della Costituzione, nell'indicare l'orientamento alla nonviolenza e ai mezzi non armati per la risoluzione dei conflitti, il popolo della pace promuove le attività e le campagne necessarie: il disarmo e la costituzione dei corpi civili di pace.
La guerra, comunque aggettivata – umanitaria, preventiva, giusta, chirurgica ecc. - è un costo insostenibile sia in termini di vite umane e sofferenze per le popolazioni, sia in termini di tenuta del patto democratico, sia in termini di bilanci economici. Mentre tutti i settori della spesa pubblica subiscono pesanti e continue contrazioni, mentre i settori produttivi risentono delle crisi finanziarie internazionali, solo il settore delle spesa pubblica militare lievita incessantemente e solo il settore dell'industria degli armamenti diventa più florido. In questo preparare quotidianamente, ed economicamente, il mezzo della guerra, la Costituzione è già ripudiata. L'invio dei bombardieri ne è solo la tragica ma inevitabile conseguenza. Perciò la condizione preliminare e necessaria per il ripudio della guerra è il disarmo. In tempo di crisi, l'invito del presidente Pertini è sempre più attuale: "Svuotare gli arsenali e riempire i granai": questa è la prima attività.
La seconda attività è darsi i mezzi e gli strumenti necessari per intervenire all'interno dei conflitti, come prevedono sia la Costituzione italiana che la Carta delle Nazioni Unite, ossia costituire i Corpi Civili di Pace nazionali e internazionali. Dotare il nostro Paese, e orientare in questo senso le Organizzazioni internazionali, di Forze disarmate costituite da personale formato ed equipaggiato, presente nei luoghi dei conflitti prima che questi degenerino in guerra. Corpi civili esperti nella complessa ma indispensabile arte della prevenzione, mediazione, interposizione e riconcliazione tra le parti.
Significa costruire un nuovo ordine internazionale fondato sulla nonviolenza.
Se poi tutti gli interventi civili messi in campo, fino in fondo, all'interno di un conflitto non saranno stati efficaci e sarà necessario un intervento, limitato e circoscritto, di una forza armata, sarà compito della Polizia internazionale al servizio delle Nazioni Unite. La quale, come tutte le polizie, non farà guerre e bombardamenti ma separerà i contendenti, neutralizzando i soggetti più violenti e arrestando chi si rende responsabile di crimini.

Per il popolo della pace questo è il nuovo varco da aprire oggi nella storia.
Questa la sua Mozione: ripudiare la guerra, non la Costituzione.
Per questo marcerà ancora una volta da Perugia ad Assisi

Nessun commento:

Posta un commento