domenica 17 luglio 2011

Dieci anni dopo il G 8 di Genova / 3

Le vicende del G8 avviarono all'interno del "movimento dei movimenti" un importante confronto sui "mezzi" di azione politica. In particolare le Rete Lilliput avviò un percorso di approfondimento sulla "teoria e pratica" della nonviolenza, con la nascita di un gruppo di lavoro centrale e di vari percorsi di formazione locali. A Ciampino, nel settembre del 2002, la Rete Lilliput svolse su questo tema un seminario nazionale.
Questa è la relazione introduttiva.


La nonviolenza: attivarsi per un mondo diverso


Il sistema nel quale viviamo e’ profondamente in crisi dal punto di vista energetico, ecologico e sociale. E’ in atto un drammatico conflitto tra il modello economico dominante e la biosfera. Il potere imperiale che governa il pianeta sta operando una trasformazione violenta di questo conflitto, sovrapponendo alla violenza strutturale, sulla quale e’ fondato, la violenza diretta della repressione verso il dissenso interno e della guerra permanente verso l’esterno. In questa fase di conflitto l’uso della violenza diretta ha anche, e forse soprattutto, la funzione mimetica di nascondere le ragioni della crisi e puntare tutte le attenzioni sul/sui "nemico/ci", causa di tutti i mali.

Cio’ pone ai movimenti di resistenza e costruzione delle alternative una doppia sfida, una doppia alternativa:
- di contenuto: ridurre l’impatto del sistema energetico-economico-sociale sulla biosfera, ossia ridurre l’impronta ecologica e sociale, per uscire della crisi planetaria;
- di metodo: ribaltare la trasformazione violenta del conflitto operando la sua trasformazione in senso nonviolento, per svelare ed affrontare le vere ragioni del conflitto. In questo quadro, sono almeno due le ragioni principali per operare la scelta consapevole della nonviolenza:
1) per superare la scissione tra etica e azione politica
(machiavellicamente: "il fine giustifica i mezzi") e reinserire l’etica nella politica (gandhianamente: "il mezzo sta al fine come il seme sta all’ albero");
2) perche’ puo’ essere efficace, per le seguenti ragioni:
a) la nonviolenza interviene sui processi per modificare le strutture profonde della societa’ e non solo sugli eventi indotti. E’ pro-attiva piuttosto che re-attiva. Ha una propria agenda che cerca di realizzare, anche attraverso il lavoro al "programma costruttivo", e non risponde solo ad input esterni;
b) ha un approccio complesso al conflitto nel quale non considera solo i due soggetti esplicitamente avversari - oppresso ed oppressore - ma tiene conto delle fondamentali terze parti, delle quali cercare la simpatia, il consenso ed infine l’alleanza.
E’ quest’ultimo un punto cruciale sul quale soffermarsi.

Gia’ nel ’Cinquecento Etienne de La Boetie nel suo Discorso sulla servitu’ volontaria, ha evidenziato come le vere radici del potere stanno nella "complicita’" di chi lo subisce. Secondo Sharp le ragioni dell’obbedienza sono l’abitudine, la paura delle sanzioni, l’obbligo morale, l’interesse personale, l’identificazione psicologica con il governante, le "zone d’indifferenza", la mancanza di fiducia in se stessi. Cio’ e’ ancor piu’ vero nel sistema capitalista nel quale il sostegno principale al sistema non e’ dato tanto dall’esercito o dalla polizia quanto da quel venti per cento di cittadini del mondo ricco che da un lato dissipa le risorse economiche, ecologiche ed energetiche di tutti e dall’altro comincia, per lo piu’ inconsapevolmente, a pagarne le conseguenze. "Il capitalismo è sostenuto piu’ dall’adesione passiva che dalla forza" - spiega Brian Martin nel suo Nonviolenza contro capitalismo - "Nelle societa’ capitalistiche le persone vivono la loro vita quotidiana invischiate in una rete di credenze e di piccole azioni che costantemente ripresentano loro cio’ che e’ possibile e desiderabile. Quando la gente consuma un pasto pronto, vede e ascolta la pubblicita’, indossa abiti firmati, aspira a ulteriori possessi materiali e si adatta a competere in un mercato del lavoro rigido, ecco che si trova coinvolta in comportamenti e sistemi di credenze che riflettono e riproducono uno stile di vita dominato dal capitalismo. Se molti disobbedissero alle leggi, l’intervento della polizia o dell’esercito potrebbe essere controproducente o inutile, ma il fatto e’ che quasi tutti si adeguano al sistema, anche coloro che gli sono contrari. Si tratta dunque di elaborare una politica che distrugga le credenze del capitalismo e che dia impulso ed espansione a una nuova sfida". Si tratta, pertanto, di agire parallelamente nei confronti del potere e delle "terze parti" che, consapevolmente o meno, lo sostengono. E dunque anche su noi stessi.

Ma, nella situazione data, affinche’ la scelta della nonviolenza da parte di Rete Lilliput sia effettivamente efficace bisogna soddisfare tre condizioni di efficacia:
1) uscire dal generico della a-violenza e della non violenza ed entrare nello specifico della nonviolenza, ossia del metodo satyagraha come proposto dai movimenti gandhiani. Cio’ significa che non si tratta di non rompere le vetrine durante un corteo pacifico, ma di appropriarsi di un metodo complessivo di azione che ha propri principi, strategie (nel senso di agire su piu’ strati), tattiche e tecniche;
2) passare dal dire nonviolenza al fare nonviolenza. Ossia cominciare a praticare cio’ che scriviamo sui nostri documenti, considerando che nella suddivisione dei saperi - sapere, saper essere, saper fare - in ambito lillipuziano siamo probabilmente abbastanza concentrati sui primi due (di piu’ sul secondo che sul primo), ma assolutamente in ritardo sul terzo, cioe’ sul saper fare nonviolenza;
3) avviare seri e diffusi percorsi di formazione teorico-pratica alla nonviolenza.

L’insieme di queste tre condizioni ci consentirebbe di acquisire la nonviolenza come metodo, ossia di passare da una dimensione puramente ideale della nonviolenza ad una metodologica. Perche’ la nonviolenza e’ metodo ed e’ metodo sperimentale, nel quale la teoria si confronta sempre con la pratica e in questo confronto il metodo stesso evolve, arricchendosi di sempre nuove dimensioni e producendo imprevedibili risultati.

I Gruppi di azione nonviolenta (in sigla: Gan) possono diventare lo strumento lillipuziano per l’uso consapevole e complessivo del metodo nonviolento. Denominare Gan i nascenti gruppi lillipuziani, che s’affacciano oggi sulla strada della nonviolenza, significa non partire da zero - vizio spesso diffuso nei nostri gruppi e movimenti - ma riallacciarsi ad una storia che e’ all’origine della diffusione in Italia della nonviolenza attiva. Infatti, nella nonviolenza italiana Gan non e’ una sigla nuova: nei primi anni ’60 un gruppo di sei giovani di diverse citta’, coordinati da Pietro Pinna, diedero vita al primo Gruppo di Azione Diretta Nonviolenta che sparse i semi per l’ introduzione anche in Italia delle tecniche di azione nonviolenta, già da tempo sperimentate all’estero. Il gruppo conflui’ poi nel nascente Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini.

L’obiettivo e’ quello di avere nei prossimi anni un Gan per ogni nodo Lilliput, allo scopo di poter mettere in campo una vera strategia lillipuziana, reticolare e nonviolenta.
- Lillipuziana: perche’ si attiva dal basso, dai territori locali nei quali si comunica a viso aperto con i propri concittadini, utilizzando al meglio la dimensione comunicativa delle azioni dirette nonviolente, e dove si puo’ lavorare concretamente ed efficacemente alla realizzazione dei programmi costruttivi;
- reticolare: perché la costituzione dei Gan presso i nodi consente di sviluppare una rete di attivisti diffusa su buona parte del territorio nazionale capace, se opportuno o necessario, di attivarsi anche sincronicamente;
- nonviolenta: perche’ usa il metodo nonviolento come propria specifica modalita’ di attivazione, gestione e trasformazione dei conflitti, ed in particolare le azioni dirette nonviolente.

Il Gruppo di lavoro tematico su "nonviolenza e conflitti" indica ai nodi i seguenti quattro possibili ambiti d’intervento dei Gan, quattro possibili piste di lavoro o sentieri da esplorare, che non ne esauriscono le possibilita’ ma propongono dei punti di avvio.
- i Gan sarebbero lo strumento di azione attraverso il quale le campagne lillipuziane possono agire con il metodo nonviolento, attivando, tra l’ altro, la gandhiana "legge della progressione" che prevede il passaggio graduale dalle forme piu’ blande di azione a quelle via via piu’ incisive e radicali fino alla realizzazione dell’obiettivo essenziale stabilito, per passare poi ad un nuovo obiettivo;
- i Gan agirebbero, nei propri territori, sulle conseguenze nel tessuto locale dei fenomeni globali, attivando un conflitto sul tema più sentito nelle proprie comunita’ con il metodo nonviolento che prevede parallelamente l’azione diretta ed il "programma costruttivo";
- una rete di Gan diffusa sul territorio nazionale sarebbe di fatto un presidio democratico di fronte alle involuzioni autoritarie alla quale stiamo assistendo in Italia, e non solo, una volta acquisite le capacita’ di attivarsi come "difesa popolare nonviolenta" da un aggressore interno alle istituzioni democratiche;
- i Gan potrebbero divenire gruppi d’appoggio e di supporto per i Corpi Civili di Pace in missione in situazioni di guerra. Naturalmente tutto cio’ potra’ avvenire solo nella misura in cui i nodi ed i singoli lillipuziani decideranno di dare testa e gambe a questo progetto, all’interno delle realtà locali.

Ricordando che la Rete Lilliput, e dunque tutti noi, ha una doppia responsabilita’:
- una responsabilita’ nei confronti degli altri movimenti, che hanno delle attese rispetto alla nonviolenza che la Rete ha avuto il coraggio di scegliere e proclamare, e adesso deve fare e dimostrare;
- una responsabilita’ verso la deriva violenta del conflitto strutturale in corso, che se non proviamo a trasformare noi in senso nonviolento, e prima che sia troppo tardi, nessun altro, almeno in Italia, potra’ farlo.

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