sabato 18 dicembre 2010

Historia magistra vitae?

Appunti per una storiografia nonviolenta

di Pasquale Pugliese

(pubblicato sui n 10/11/12 - 2010 di Azione nonviolenta)

Costruire una narrazione
Ogni movimento sociale che cambia la storia dal basso deve anche costruirne la propria narrazione. E’ avvenuto per il movimento dei lavoratori e per il movimento delle donne, non è ancora avvenuto per il movimento per la pace. Ripercorrere le tappe di un percorso che nel tempo ha mobilitato passioni politiche e civili significa tracciare un sentiero all’interno del susseguirsi degli avvenimenti registrati dalla Storia utilizzando un'altra punteggiatura, altre categorie di interpretazione degli eventi.
Non solo per costruire una storia di settore, quella dei movimenti pacifisti e nonviolenti, ma per proporre un nuovo punto di vista storiografico sulla Storia tout-court. Un punto di vista capace di mettere in evidenza non solo le esplicite forme di opposizione alle guerre, ma tutte le soluzioni disarmate e nonviolente all’interno dei conflitti e tutte le azioni di prevenzione della violenza che donne e umomini hanno saputo, nel tempo, mettere in campo. Un nuovo sguardo storico capace di raccontare i processi di sviluppo delle civiltà fuoriuscendo dalla retorica della “violenza levatrice della storia”.

La violenza data per scontata
Retorica che tuttavia rimane ancora punto di riferimento irrinunciabile, e addirittura ovvio, per la maggior parte degli storici. Sfogliando i “manuali” destinati alla didattica della Storia, emerge chiaramente come sia ancora valido lo ”strabismo” che ha spiegato Hannah Arendt nel suo importante lavoro "Sulla violenza" (edizione italiana: Guanda, 1996), in cui svolge una serrata critica alla violenza ed alla guerra: "è a prima vista piuttosto sorprendente constatare come la violenza sia stata scelta così di rado per essere oggetto di particolari attenzioni.(...). Questo dimostra fino a che punto la violenza e la sua arbitrarietà siano state date per scontate e quindi trascurate; nessuno mette in discussione o sottopone a verifica ciò che è ovvio per tutti. Coloro che non hanno visto altro che violenza negli affari umani (...) non avevano nient'altro da dire ne sulla violenza ne sulla storia".
(p.10)

Lavori disponibili in italiano
Nel senso indicato, di rilettura di processi storici a partire da categorie di interpretazione nonviolenta, sono pochi i lavori disponibili in italiano, tutti riferiti alla resistenza al fascismo e al nazismo:
- l'ormai classico "Senz’armi di fronte ad Hitler" dello storico francese Jacques Semelin, tradotto in italiano per le edizioni Sonda nel 1993, che fa una narrazione della resistenza europea a partire dal paradigma della “difesa civile”;
- gli studi di Anna Bravo e in particolare la voce "Resistenza civile" nel Dizionario della Resistenza (Einaudi 2001);
- l'importante bibliografia storica "Difesa senza guerra", a cura di Enrico Peyretti, in continuo aggiornamento, e il suo saggio "La resistenza nonviolenta al fascismo in Italia", entrambi scaricabili dal sito www.peacelink.it ;
- infine, alcune pubblicazioni “militanti”, come i quaderni di “Azione nonviolenta”, sulla resistenza danese e norvegese, e le ricerche di Stefano Piziali sulla resistenza nella bergamasca e di Raffaele Barbiero sulla quella di Forlì.
Vi è poi il lavoro di Alessandro e Daniele Marescotti del 2005, "L'altra storia. L'opposizione alla guerra e alla violenza dall'antichità a oggi", scaricabile dal sito http://italy.peacelink.it/storia, l'unico tentativo italiano di costruzione di un vero e proprio “manuale” di Storia che assume la nonviolenza come punto di vista storigrafico.

Storie dei movimenti pacifisti
Sono altrettanto poco numerosi i lavori di autori italiani (o tradotti in italiano) che, negli ultimi quindici anni, hanno affrontato il tema specifico del movimento per la pace in chiave storica. E significativamente sono quasi tutti scritti da “non storici”:
- nel 1995 esce nella collana “Storia dei Movimenti e delle Idee” dell’Editrice Bibliografica “Pacifismo” di Roberto Diodato, filosofo;
- nel 2005 esce una “Breve storia del pacifismo in Italia”, per la Bonanno Editrice di Pietro Pàstena, criminologo (ma obiettore di coscienza);
- L'anno successivo Amoreno Morellini pubblica “Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell'Italia del Novecento, Donzelli 2006
- Nel 2007 la Mondadori pubblica in italiano “Un’idea pericolosa. Storia della nonviolenza” del giornalista statunitense Mark Kurlansky;
- Nel 2010 Editori Laterza dà alle stampe “La non-violenza. Una storia fuori dal mito”, una lettura critica dello storico della filosofia Domenico Losurdo.
- Più modestamente avevano definito “Una cronaca del pacifismo italiano del Novecento”, i giornalisti Antonella Marrone e Piero Sansonetti, il loro “Né un uomo né un soldo”, uscito per la Baldini Castoldi Dalai nel 2003.
Infine, non posso non ricordare il prezioso “Nonviolenza in cammino Storia del Movimento Nonviolento dal 1962 al 1992”, a cura del Movimento Nonviolento.

Tutta la storia è scelta
E’ legittimo costruirne un punto di vista storiografico fondato su categorie nonviolente?
Cerchiamo dagli storici alcune risposte preliminari, a cominciare da un classico della Scuola delle Annales, scuola storiografica che ha cercato di superare la histoire éveneméntielle, la storia fatta per accumulo di avvenimenti, detta non a caso anche histoire-bataille, per riercare le strutture sociali ed economiche e le mentalità collettive.
Lucien Febvre in "Problemi di metodo storico" (prima edizione italiana Einaudi, 1967) scrive:«Tutta la storia è scelta. (...) Per il fatto che, quando i documenti abbondano l'uomo abbrevia, semplifica, mette l'accento su questo, passa la spugna su quello. Sopratutto per il fatto che lo storico crea i suoi materiali, o, se si vuole, li ricrea: lo storico non si muove vagando a caso attraverso il passato, come uno straccivendolo a caccia di vecchiumi, ma parte con un disegno preciso in testa, con un problema da risolvere, un'ipotesi di lavoro da verificare.» (p. 73-74) «Organizare il passato in funzione del presente: tale si potrebbe definire la funzione sociale della storia.»(p. 186)

Storia=Guerre?
Questo approccio è ripreso nel primo volume curato della Scuola di Pace di Boves, sul tema "Verso la Pace. Come imparare la pace studiando la storia". (elle di ci 1988). In esso Francesco Traniello introduce il tema «Storia = Guerre?» e, tra l'altro, scrive: «In fondo, alle spalle dell'histoire-bataille sta l'idea che la storia sia essenzialmente una storia di conquiste da parte di alcuni potenti che lottano tra di loro per acquistare il potere. (…) Facendo un altro passo, mi sentirei di dire che alle spalle di questa visione della storia sta la scelta di alcuni soggetti come soggetti privilegiati della storia: sono coloro che tendenzialmente si esprimono attraverso la metodologia della forza, della lotta, della battaglia e della guerra. La cultura di cui noi siamo figli è una cultura impregnata dall'idea che la guerra e il conflitto siano la regola fondamentale della storia e che la storia sia dominata da questa dimensione»(p.11-12)

La storia come ideologia
Anche Scipione Guarracino e Dario Ragazzini nel loro lavoro “La formazione storica. Metodi storiografici e criteri didattici” (La Nuova Italia, 1990), riflettono sul rapporto tra ideologie dominanti, idee storiche e didattica della storia: “Le idee storiche hanno a che fare con le ideologie sociali, hanno a che fare con la consapevolezza di sé che hanno le società, cioè con il rapporto che queste riconoscono con il proprio passato, ma anche con quello che stabiliscono con il proprio presente e ipotizzano con il loro futuro. (p.2) “E’ necessario riflettere un momento sul fatto che più cresce il bisogno sociale di storia, più forte si fa il rischio che il suo insegnamento divenga soltanto un momento dell’esercizio del potere, del controllo sociale. La storia diventa così ideologia, manipolazione ideologica.” (p.162)
Ancora più espliciti sulla funzione sociale del fare storia sono Pietro Corrao e Paolo Viola che nella "Introduzione agli studi di Storia" (Donzelli Editore, 2002) scrivono: "Nella civiltà occidentale, significative energie intellettuali e non indifferenti risorse economiche sono state dedicate allo studio professionale del passato, sia a livello formativo sia a livello di divulgazione pubblica. Perchè questo investimento di energie e risorse, sopratutto da parte di Stati e poteri, dal momento che il prodotto di questi studi non apppare - se non in maniera molto indiretta - utilizabile a scopi pratici? La risposta può essere riferita a due caratteristiche degli studi storici: la capacità di legittimazione dell'esistente e la funzionalità allo sviluppo di identità di diverso genere e scala dimensionale.(p.5)

Le tracce non sono innocenti
Marcello Mustè, nel lavoro "La Storia: teoria e metodi" (Carocci 2005) sottolinea infine come l'interpretazione del passato da parte dello storico sia in realtà una sua organizazione:“Ma lo storico sa che i documenti, ai quali si rivolge per scoprire gli eventi di un lontano passato, contengono spesso un inganno o, almeno, una dose elevata di ambiguità. Anzitutto, il passato non ha disseminato tracce in modo “innocente”, ma ha seguito precise strategie, logiche di potere, dinamiche fondate sulla forza e sul dominio. In molti casi sappiamo del passato solo ciò che il passato ha deciso che noi sapessimo: le cosiddette “fonti della storia” registrano solo quei fatti che sono sembrati sufficientemente interessanti da registrare”(p.24). Dunque, “nel ricostruire, attraverso l'uso attivo di ipotesi e congetture, la continuità del processo, ossia nel tentativo di comprendere ciò che è veramente accaduto, lo storico introduce un principio di organizzazione del passato”. (p. 33)

Storie da scoprire, storie da ripensare
Le opinioni degli storici confermano la legittimità dell'organizzazione del passato a partire anche da un'interpretazione nonviolenta, capace di rileggere la Storia attraverso storie rimaste sconosciute finchè non ricercate.
“Storie da scoprire, storie da ripensare” le chiama Anna Bravo nel monografico 40/2009, della rivista "Parolechiave" (Carocci), dedicato alla "Nonviolenza". Storie che, se narrate, “a rischiare di venire sovvertiti sono alcuni capisaldi della storia della guerra. Aver raggiunto certi risultati senza usare le armi può suggerire l'idea che si sarebbe potuto agire allo stesso modo in molte situazioni in cui si dava per scontato che non ci fosse altra via” (106) “Da decenni, la nonviolenza fatica a costruire una sua mitografia. Si sono scritti milioni di libri per raccontare eventi che hanno fatto milioni di morti, infinitamente meno su quelli che li hanno evitati. Si sono girati migliaia di film su tutte le guerre, infinitamente meno sui loro oppositori” (p.115)

Una piccola grande storia
In contro tendenza nel guardare dentro la Storia con altri occhi è - per esempio - questa piccola grande storia raccontata da Matthias Durchfeld e Annalisa Govi in "RS Ricerche Storiche", Rivista semestrale dell'Istoreco (Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea della provincia di Reggio Emilia) n. 107/2009. Storia che narra il ruolo svoto da due donne tedesche, mogli di ex migranti italiani rientrati al paese sull'appennino reggiano, nell'evitare un altro eccidio nazista.
“Il 1944 è l'anno delle stragi naziste e fasciste in Italia. Cervarolo, Civitella, La Bettola, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto disegnano un cerchio di nomi noti.
Poco prima della Pasqua del '44 il cerchio della violenza nazista stringe la presa intorno a Gombio, a Casa Ferrari, fra Ciano e Casina. Due settimane prima, 24 uomini sono stati ammazzati su quello stesso appennino a Cervarolo. Ma per Gombio il coraggio di due donne trasforma il triste destino in salvezza. Non fu strage. Per questo, ironia della sorte, gli eventi di Gombio restarono sconosciuti, dimenticati dai libri di storia. A noi invece sembra che le signore Ida e Augusta, disarmate di fronte alla violenza e alla prepotenza dei soldati, debbano essere ricordate. Per quel coraggio che ha sfidato la guerra”.

Veh lazoroun, al to paeis t'han imparato a te l'educazione così?
Uno dei testimoni ascoltati da Durchefeld e Govi, così racconta i fatti:
“ Avevo 15 anni. Sono arrivati i tedeschi. Prima hanno preso quattro preti. Poi mio padre. Dopo è arrivata un'altra fila di tedeschi. Hanno cominciato ad andare in casa. Io ero seduto sui gradini lì fuori e passavano i tedeschi: avevano tutti i salumi, prosciutti, quella roba lì. Passavano con la baionetta. Buttavano tutto per aria e portavano via tutto...m'han prelevato a me e poi mi hanno portato dietro la casa giù nel sagrato come gli altri. C'erano i quattro preti e mio padre, poi c'era uno che non mi ricordo più come si chiama. C'erano quattro preti perchè erano le Quarant'ore. La festa religiosa. Suonavano le campane, ma i tedeschi dicevano che era un richiamo dei partigiani. Siamo stati ancora lì dal muro. Là c'erano i tedeschi con la mitraglia puntata e ci hanno fatto partire tutti in fila e via: avanti! E siamo arrivati qua [nel piazzale di Gombio, NdR]. C'era Scarenzi, Vittorio, Gaetano...altri cinque o sei. I tedeschi eran là con la mitraglia là sopra e più avanti c'erano un altro gruppo che quelli lì non parlavano micca. Saran stati italiani.
E dopo hanno trovato la nonna di Ciso: l'Augusta. Era tedesca, lei. E...è successo il patatrac!
E' successo che stava facendo la frittata e loro sono andati dentro: boom! Lei stava nella cucina. C'era il piatto della frittata sul tavolo e il soldato tedesco s'era messo a mangiare e lei ha detto in tedesco: Veh lazoroun, al to paeis t'han imparato a te l'educazione così?
Al dis che il tedesco ci aveva ancora un pezzettino di frittata lì e c'è caduto per terra.
Sarà stata circa l'una. A Casa Ferrari avevano già cominciato a bruciare. Lei ha parlato tanto tempo. In mezzo c'erano sempre l'Augusta e l'Ida [un'altra tedesca abitante a Gombio, NdR].
Mentre loro dicidevano, noi siam stati fermi, zitti. Dicevamo: Mah! Qua cosa faranno? Cosa non faranno? Non si sapeva niente. Fermi però. Dopo ci hanno poi liberato. Andate a casa!

Quante storie come questa aspettano qualcuno che le raccolga, le documenti, le organizzi e le racconti? Se ciò avvenisse sistematicamente i libri di storia sui quali studiano gli studenti potrebbero narrare anche un'altro passato – fatto di coraggio e nonviolenza - dal quale dedurre preziosi insegnamenti per costruire nuovo futuro.
Allora, davvero, l'Historia sarebbe “magistra vitae”.

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